Le città invisibili (Italo Calvino)
Ve lo dico subito: sono un po’ in difficoltà nel parlarvi di questo libro. Sappiate che l’ho concluso più di un mese fa (in realtà, la postfazione di Pier Paolo Pasolini l’ho letta solo ieri, ma il resto del libro l’ho finito un mese fa). Ci sono libri che devo “metabolizzare” prima id poterne scrivere, e questo è uno di quelli. Partiamo dalla prima difficoltà: l’impressione durante la lettura. Leggere l’introduzione fa la differenza, per questa opera, soprattutto se l’introduzione è curata dall’autore stesso. Se non avessi letto l’introduzione, potrei dirvi che Calvino, attraverso un linguaggio immmaginifico e surreale, vuol condurci per mano a scavare nell’animo umano usando, per mostrarci i suoi aspetti, città immaginarie, utopiche (e anche distopiche), e le relazioni umane che si intrecciano in esse. Ma nell’introduzione Italo stesso ci spiega che quest’opera si è sviluppata in tanti anni: l’autore prendeva appunti che potevano sempre tornare comodi per romanzi futuri (come fanno molti bravi scrittori). Uno scorcio di città che ispirava certe riflessioni, un appunto sull’uomo e sulle relazioni sociali… Tutto veniva ambientato in città fantastiche, tutto scritto (o riscritto) con un linguaggio immaginifico, tutto una metafora di una sensazione dell’autore. Allora ti viene il sospetto che l’animo da indagare non era tanto quello dell’uomo in sé, ma proprio quello dello scrittore. Nelle Città Invisibili, è come se Calvino ci proponesse una istantanea di qualcosa che in quel momento lo crucciava o sorprendeva o incuriosiva o infastidiva o rallegrava. Le città e la memoria; Le città e il desiderio; Le […]