La sposa giovane (Alessandro Baricco)
Concordo con quanto scritto da altri, assai più ferrati di me nel mestiere del recensire: Baricco si legge sapendo cosa ci aspetta. E cioè uno sfoggio di sapienza dell’arte letteraria. Dovrebbe entrare nei programmi ministeriali della Pubblica Istruzione (o MIUR che adesso dir si voglia, ma rendeva meglio il concetto prima), come ottimo esercizio della nostra lingua ed esempio attuale di un italiano perfetto, colto, eufonico. Affrontiamo prima la parte più semplice: la trama. In una villa di una ricca famiglia di industriali di una zona non meglio identificata del nord Italia, cronologicamente posta fra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900, si presenta la Sposa Giovane, arrivata per contrarre matrimonio con il Figlio. Tutti i personaggi (tranne i figuranti), sono nominati così, la Madre, il Padre, la Figlia, lo Zio, addirittura la Famiglia (identificano meglio l’archetipo che rappresentano? oppure non battezzarli di nome proprio li lascia indefiniti fantasmi contribuendo a quell’aura magica di cui il romanzo si riveste?). Ma il Figlio è all’estero e deve tornare. Il resto è l’attesa della Sposa Giovane e della squinternata e folle Famiglia, di questo rientro annunciato e costantemente procrastinato, in un’atmosfera surreale, nutrita di rituali grotteschi, iniziazioni sessuali (il sesso abbonda soprattutto nella sua versione morbosa), segreti familiari inconfessabili e perciò svelati, bordelli in stile ottomano, animali favolosi, malattie chimeriche, terre lontane, oggetti strampalati, bellezze fiabesche, tanghi, montoni e barche a vela. E adesso passiamo alla parte più difficile: la linguistica di questo romanzo. Perché la trama è il pretesto per l’applicazione concentrata e scientifica […]