Samfaina catalana

Il nome di questo piatto è esotico, ma è la versione catalana di ricette che si trovano in tutto il mediterraneo: dalla caponata nostra, al pisto spagnolo, alla ratatouille francese. La mangiavo da bambina e l’ho rifatta recentemente…. mi ricordavo bene che era un ottimo contorno per un secondo un po’ sciapo, ma niente vieta di mangiarlo come piatto unico con delle belle fette di pane per raccattare il sugo. Gli ingredienti: una melanzana un paio di peperoni (meglio di colori diversi, fa più allegria alla vista) una grossa cipolla dorata 4/5 pomodori perini piuttosto grossi 1 o 2 spicchi d’aglio (a vostro gusto) olio extra vergine d’oliva sale alcune versioni prevedono anche un paio di zucchine, ma il loro sapore più delicato si perde in quest’insieme. La parte più antipatica consiste nel tagliare tutte le verdure a dadini grossi quanto un polpastrello (di mano piccola, non di badile…), diciamo un paio di centimetri scarsi per lato. Poi in un tegame capiente, si versa l’olio quanto basta per far cuocere tutte le verdure, si aggiunge l’aglio (intero, schiacciato, a fettine, in camicia, dipende dai vostri succhi gastrici), e i peperoni a dadini. Si lascia soffriggere circa 10 minuti a fuoco medio alto, rimestando di tanto in tanto. A questo punto è il turno delle cipolle, e dopo altri 5 minuti, delle melanzane e dei pomodori (io ho messo i pomodori perché li avevo, ma niente vieta di metterci della salsa piuttosto densa). Dopo aver aggiustato di sale, si copre e […]

La primavera del lupo (Andrea Molesini)

Non c’è verso: scrittori non ci si improvvisa. O hai l’immensa fortuna di avere una vena di poesia o di fantasia che ti scorre naturalmente nelle vene (e quel minimo di educazione linguistica atta a scrivere correttamente anche se in un tuo proprio stile non necessariamente aulico), oppure hai dalla tua lo studio approfondito di chi ha già scritto, la capacità di plasmare la lingua a seconda della tua idea, e naturalmente appunto, un’idea di cui scrivere. Infatti l‘Autore in questione ha vinto il premio Campiello, più altri premi minori, e insegna all’Università di Padova. Non che questo sia garanzia di sapienza, intendiamoci (tanti ne ho conosciuti nella mia carriera universitaria col QI di una cassapanca e la cultura di un batrace), però nella fattispecie la sua dottrina lo raccomanda a ragion veduta. E’ un romanzo molto particolare questo. Narra la fuga di un gruppetto eterogeneo di disperati dalla follia nazista nell’Italia (da un convento di Venezia fino ad approdare dopo lunghi giri in Alto Adige), negli ultimi mesi prima della liberazione da parte degli Alleati. La voce narrante è di uno dei fuggiaschi, Pietro, un bambino di dieci anni dalla fantasia galoppante e la parlata logorroica. Insieme a lui, ebrei (giovani e anziani), religiosi (maschi e femmine, veri o presunti), partigiani, imboscati e tedeschi disertori. Tutti a nascondersi, inseguirsi, patire il freddo e la fame, vedere la morte da vicino e scoprire che le meschinità le commettono tutti, nazisti e patrioti, buoni e cattivi. La vera bellezza di questo […]

Peperoni Palermo ripieni di feta e pomodori

Dopo un’ennesima delusione con cui ho voluto adornare la mia esistenza in questa valle di lacrime, e il conseguente digiuno psicosomatico durato due giorni (deve essere, ho pensato, una specie di reazione fisiologica, un po’ come le lumache che spurgano, si eliminano le “tossine” che i dispiaceri fanno accumulare nell’organismo, in modo poi da ripartire “puliti” dentro e belli fuori), dopo tutto questo – dicevo – mi sono dedicata a una nuova ricetta che pareva l’unica in grado di farmi venire nuovamente l’appetito. E, devo dire, ha raggiunto l’obiettivo. Eccovela, sperando che vi serva per leccarvi le ferite (se le avete) oltre che le dita. 6 peperoni Palermo (sono una nuova varietà, lunghi, rossi e carnosi, molto dolci, ma penso vadano bene anche altri tipi di peperoni a vostro gusto, basta non siano quelli acquosi, insipidi e plastificati che vengono dall’Olanda) 1 mattonella di feta 4 pomodori Perini un ciuffetto di basilico 1 ciuffettino di timo (io ho usato quello secco, una spolverizzata) 1 spicchio d’aglio sale, pepe e olio extra vergine d’oliva Ho lavato peperoni e pomodori. Ho inciso una T sui primi in modo che il lato corto della T venisse a cadere proprio sotto il picciolo e il lato lungo seguisse la lunghezza del peperone (lasciate il picciolo, mi raccomando, altrimenti il peperone si disfa). Attraverso questa incisione ho levato semi e cuticole, cercando di lasciare il più possibile integro il peperone. Poi ho tagliato a dadini i pomodori e la feta. Ho messo il tutto in una ciotola, condendolo […]

Alicia Giménez Bartlett vs Camilla Läckberg

Agosto, si sa, è mese di letture da “ombrellone”. In questa generica definizione rientra, per convenzione, il genere giallo che pure può avere una sua altissima dignità. Avendo a disposizione più tempo del solito, mi sono data alla lettura di questo intrigante genere letterario, ma dei 5 titoli letti, voglio prendere in considerazione quelli che per me sono stati i due estremi: la Giménez Bartlett (voto 8) e la Läckberg (un 4 scarso, ma proprio scarso). Questa non vuole essere soltanto una recensione comparativa tra i due libri letti (Giorno da cani per la prima e La sirena per la seconda), ma anche una considerazione su quanto potente sia il business che sta dietro a certi scrittori, e quanto questo influenzi i gusti dei lettori. Niente di nuovo sotto il sole del resto, per restare in tema di ombrelloni. Chiaramente si tratta di due libri, due autrici, due nazionalità e due età completamente diverse, quindi una comparazione pura e semplice fra le due potrebbe apparire un po’ forzata. Ma la professione è la stessa per entrambe (scrittrici di gialli appunto), e la differenza del risultato finale è considerevole. Inizio dalla più giovane, la svedese campionessa di incassi, autrice di best seller tradotti in tutte le lingue che garantiscano altre mietiture di consensi e quindi di soldini. E’ una delle star della “scuola scandinava” dei romanzi polizieschi. Leggo che è stata tradotta in 55 paesi e che ha venduto più di 15 milioni di copie (quindici milioni!!); ha poco più di quarant’anni, scrive (e pubblica) da […]

La sposa giovane (Alessandro Baricco)

Concordo con quanto scritto da altri, assai più ferrati di me nel mestiere del recensire: Baricco si legge sapendo cosa ci aspetta. E cioè uno sfoggio di sapienza dell’arte letteraria. Dovrebbe entrare nei programmi ministeriali della Pubblica Istruzione (o MIUR che adesso dir si voglia, ma rendeva meglio il concetto prima), come ottimo esercizio della nostra lingua ed esempio attuale di un italiano perfetto, colto, eufonico. Affrontiamo prima la parte più semplice: la trama. In una villa di una ricca famiglia di industriali di una zona non meglio identificata del nord Italia, cronologicamente posta fra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900, si presenta la Sposa Giovane, arrivata per contrarre matrimonio con il Figlio. Tutti i personaggi (tranne i figuranti), sono nominati così, la Madre, il Padre, la Figlia, lo Zio, addirittura la Famiglia (identificano meglio l’archetipo che rappresentano? oppure non battezzarli di nome proprio li lascia indefiniti fantasmi contribuendo a quell’aura magica di cui il romanzo si riveste?). Ma il Figlio è all’estero e deve tornare. Il resto è l’attesa della Sposa Giovane e della squinternata e folle Famiglia, di questo rientro annunciato e costantemente procrastinato, in un’atmosfera surreale, nutrita di rituali grotteschi, iniziazioni sessuali (il sesso abbonda soprattutto nella sua versione morbosa), segreti familiari inconfessabili e perciò svelati, bordelli in stile ottomano, animali favolosi, malattie chimeriche, terre lontane, oggetti strampalati, bellezze fiabesche, tanghi, montoni e barche a vela. E adesso passiamo alla parte più difficile: la linguistica di questo romanzo. Perché la trama è il pretesto per l’applicazione concentrata e scientifica […]

Chi ti credi di essere? (Alice Munro)

Se dovessi dire quale libro letto ultimamente è quello che rimarrà più a lungo nella mia memoria, sceglierei senza esitazione questo. Inutile dilungarsi sull’autrice, ottantaquattrenne scrittrice canadese, una vita come tante, tra matrimoni, figli, lavori di fortuna ma anche incarichi prestigiosi. Per chi non avesse sottomano Wikipedia e gli difettasse la memoria, la Nostra ha vinto il premio Nobel per la letteratura nel 2013, e con questo si è detto tutto (e niente). Il romanzo in questione è tra i primi da lei scritti (nel 1978 per l’esattezza), ma racconta emozioni talmente universali nella tribù femminile del moderno Occidente, da poter essere stato scritto ieri … o domani. Si tratta, in buona sostanza, di dieci capitoli, dieci piccoli racconti perfettamente in grado di vivere di vita propria, ma legati fra di loro in una sorta di biografia emozionale della protagonista Rose, dapprima bambina in una contea canadese depressa di prima della Seconda Guerra Mondiale, poi adulta in un Canada più evoluto di fine anni ’70. Anche lei, come la sua creatrice, una vita come tante, nessun colpo di scena, una quotidianità con le sue battaglie, le tante piccole sconfitte, le poche sudate vittorie. E poi una matrigna, un marito, una figlia, degli amanti, alcuni amici. Come trama, si penserebbe, poteva fare di meglio e invece ecco che il mondo di Rose viene descritto con una semplicità solo apparente che porta, pagina dopo pagina, con gli occhi incollati al testo, a scoprire le sue emozioni, sentimenti, bisogni, paure, meschinità e glorie […]

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