Ho incontrato (e mi sono scontrato) varie volte con questa opera in passato (sentivo ripetere il titolo, ne sentivo parlare come di un bel giallo), tanto che avevo la curiosità di leggermela. Ma la “goccia che ha fatto traboccare il vaso” è stato Malvaldi, col suo racconto Qualcuno alla finestra per la raccolta “Cinquanta in blu” (di cui ho fatto un articolo). L’evento scatenante del romanzo di Hall è ripreso da Malvaldi per dare l’avvio al suo racconto, e il mistero che avvolge l’autore americano è parte integrante del giallo italiano. Così, un sabato, mi son recato in biblioteca e l’ho preso (ho trovato proprio l’edizione Sellerio che vedete accanto).
Trattiamo i due misteri (la trama e l’autore) separatamente, ed iniziamo dal secondo, senza pretese di risolverlo. Il fatto (detto in parole semplici) è che non si sa chi sia l’autore. Nell’edizione da me letta, in una nota a fondo libro, è Leonardo Sciascia a raccontare la questione. Colpito dall’opera (all’epoca – 1952 – dal titolo “La morte alla finestra” ed edita da Mondadori), dopo qualche anno la legge di nuovo e si invoglia a cercare altre opere dello stesso autore, ma non ne trova. Cerca di saperne di più ma non riesce a trovare nessuna informazione significativa. In una nota dell’ attuale editore (Sellerio), ad inizio libro, si parla di due opere di Hall (ma non si cita la seconda). Ed anche Malvaldi, come accennavo sopra, nel suo racconto breve, racconta un po’ la stessa storia, e ci dice che ad oggi siamo quasi certi che Geoffrey Holiday Hall sia uno pseudonimo, ma non si sa di chi. Solo Massimo, l’eroe di Malvaldi, nel racconto lo scopre, ma non ce lo dice 🙂
Parlando, invece, del romanzo, il suo titolo (attuale) è ripreso da una frase dal Giulio Cesare di Shakespeare. Come accennato sopra il precedente titolo italiano era “La morte alla finestra”.
Ed entrambi i titoli fanno riferimento all’inizio del romanzo: un uomo muore cadendo dalla finestra di un palazzo di lusso nella zona di Central Park in New York. L’appartamento da cui è caduto è abitato da Bayard Paulton e signora (Margo Lanning) ed il romanzo inizia proprio col racconto che la signora Paulton fa al poliziotto incaricato delle indagini. Chi fosse la persona morta non riesce a dirlo, per lei era una persona “insignificante”: un fattorino, forse un commesso… forse un dipendente dei magazzini Noblington di cui suo marito è direttore (e che avrebbe dovuto rincasare a momenti). Non riesce proprio a definirlo, né quest’uomo ha detto molto per presentarsi: l’unica cosa che Margo ricorda lui abbia espresso era la volontà di parlare col signor Paulton, perché solo lui poteva aiutarlo.
E Margo continua il racconto. Si stava preparando per uscire: lascia il tipo nel soggiorno e mentre è i camera a scegliere un accessorio per il proprio abito, lo sente borbottare, ma senza capire di cosa. Si insospettisce, inizia a pensare ad un ladro o un truffatore, finché il borbottio cessa. Un po’ curiosa, un po’ impaurita, torna in soggiorno per controllare cosa stesse facendo l’individuo, e lo scorge in piedi sul davanzale della finestra nel momento esatto in cui si lancia nel vuoto. Questo è tutto quanto Margo ricorda e riesce a raccontare all’ispettore.
La storia inizia dalla fine, quindi: un uomo morto, del quale è necessario scoprire la storia per capire come il Signor Paulton avesse potuto aiutarlo. Se inizialmente Bayard non pensa molto all’avvenuto, è da quando Margo se ne va per una piccola vacanza che i pensieri su chi fosse e cosa volesse iniziano ad assillarlo. In particolare, subito dopo la partenza della signora, Paulton riceve la visita dell’ispettore di polizia che riferisce le poche cose conosciute del morto: si chiamava Roy Kearney, aveva una moglie ma nessuno sa dove sia, è stato in galera per diserzione. E c’è una persona che ne ha reclamato il corpo e vorrebbe vedere dove si è svolta la vicenda.
E’ così che Bayard riceve la visita di Jesse Dermond, che dichiara di essere una semplice conoscente di Roy. Da questo incontro nasce la curiosità per saperne di più del defunto. Riesce a contattare ed incontrare altre due persone che lo hanno conosciuto e che forniscono altri frammenti della sua storia. E più ascolta, più si rende conto che qualcosa non torna. Cosa poteva volere da lui? In quei giorni afosi e stanchi Paulton non si da pace, tanto da intraprendere un viaggio fino ad uno dei luoghi in cui (secondo quanto da lui appreso) Roy ha vissuto. E cerca ed incontra di nuovo Jesse, perché vuol sapere tutta la verità.
E sarà una verità sconcertante, che lo coinvolge più di quanto lui possa credere. Solo quando tornerà nel suo appartamento, solo cercando un accendino fra le cose di sua moglie, desideroso di fumare per schiarirsi le idee, riuscirà a mettere insieme i tanti piccoli frammenti e ricostruirà un quadro che lo sconvolgerà. Finché la fine tornerà a combaciare con l’inizio.
Ambientato negli Stati Uniti degli anni 50, la prima cosa che ho notato nel romanzo è che riesce a darti una fotografia molto vivida di quel tempo e di quei luoghi. Le persone che Bayard incontra, le storie che raccontano, descrivono bene quel momento in cui c’erano grandi aspettative di crescita ma la gente era ancora povera e doveva inventarsi grandi e piccoli espedienti per vivere.
In questa situazione si sviluppa una storia di bugie e falsità in cui il povero Paulton rimane invischiato e di cui è la vittima principale (dal capitolo 2: “Questa storia non si riferisce in particolare all’uomo che morì […] No, la storia riguarda essenzialmente il signor Paulton”). Bayard, che si inventa investigatore per capire cosa quell’uomo volesse da lui. Quel Bayard che di base è una brava persona, e che si scontra con una vita costruita tutta su menzogne e che rivela tutto l’egoismo ed egocentrismo della persona che ha intessuto il tutto.
Mi riesce difficile dire di più, in questo senso, senza rischiare di rivelarvi l’intreccio. Però ho capito perché Sciascia, Malvaldi e tutti gli altri da cui ne ho sentito parlare, lo facevano in modo entusiastico. Se una delle sue particolarità è proprio partire dalla fine, per tornarci (in tutti i sensi) come in un percorso circolare, una seconda peculiarità che ho apprezzato è lo “sbocconcellare” di indizi disseminati qua e là nei racconti dei personaggi. Racconti a volte “pesanti” (ad una prima lettura), intrisi di dettagli e particolari come nel miglior Mann, quasi prolissi (sì, lo ammetto, su alcune pagine mi stavo annoiando). Ma che assumono un diverso significato appena si leggono le ultime pagine. Tutto prende senso. Tutti i piccoli indizi si illuminano come un campo di grano a luglio, pieno di lucciole. E si forma un quadro ben preciso.
Una delle abilità, appunto, di Hall (o chi si nascondeva sotto questo pseudonimo) è stata di centellinare e nascondere tanti piccoli dettagli significanti fra storie che li ammantavano di banalità o noia, così che il lettore, impersonificandosi piano piano nel protagonista (Paulton), arrivasse con gli stessi suoi passi e la sua stessa velocità al finale.
Per spiegarmi meglio: capita spesso nei gialli di individuare il colpevole già a metà opera. Quando l’eroe sta ancora investigando il lettore intuisce già colpevole e motivo, rendendo il resto della lettura solo una ansiosa ricerca di conferme. In questo caso – almeno per me – solo a poche pagine dal “disvelamento” (per citare Sciascia) ho iniziato ad intuire il quadro complessivo della vicenda. Non aspettavo la fine per scoprire se avevo ragione, ma per avere gli indizi finali per capire cosa non mi quadrava e fare luce sul perché.
Sono contento di aver finalmente letto questo romanzo. E grazie a tutti quelli che me ne hanno parlato, instillandomi la curiosità per iniziarlo. E stavolta devo ringraziare la biblioteca, da cui l’ho preso (sì, è uno dei pochissimi libri che NON ha comprato), anche se mi dispiace non tenere una copia nella mia libreria. Ma gli scaffali iniziano ad esser pieni, e credo che inizierò a sfruttare più spesso i servizi delle biblioteche, permettendomi di risparmiare spazio e soldi.
Buona lettura.
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