La macchina del tempo (Wells)

(dal sito Einaudi)

Ancora una volta vado in deroga alle regole che mi ero imposto per il blog: mi sono comprato questo libro dopo aver visto (per la terza, forse, volta) l’omonimo film del 2002, dove il protagonista costruisce la macchina del tempo per salvare la sua ragazza uccisa durante una rapina. Non riuscendo, pur tornando continuamente nel passato, ad evitare la morte della ragazza, decide di viaggiare nel futuro per cercare di trovare delle risposte a questi suoi fallimenti. Finché non giunge in un mondo completamente estraneo al nostro, dove due razze (una che vive e lavora sottoterra ed una che vive in superficie) si fronteggiano per la sopravvivenza. Lo scontro finale porta l’inventore al cospetto di  un nemico che gli fa capire il perché dei suoi fallimenti: se l’inventore riuscisse a salvare la sua fidanzata non avrebbe più bisogno della macchina del tempo e allora non la costruirebbe, ma se non la costruisse non potrebbe tornare indietro a salvare la fidanzata. Una specie di legge di conservazione della “storia”: se una azione porta ad una conseguenza, e tu torni indietro a cambiare quell’azione per ottenere una conseguenza diversa, la Storia applica una reazione per far tornare la conseguenza originale ed evitare un paradosso. Uhm, insomma, ok… mi sa che l’ho spiegato abbastanza male, vero? Chi può spiegare meglio commenti pure!

Il libro è meno romantico: non ci sono fidanzate da salvare né eroici atti che servono a vincere una battaglia impari. Ciò che guida l’inventore a costruire la macchina e a usarla è la curiosità. E la scelta di viaggiare nel futuro, più che nel passato, è dettata proprio dal conoscere ciò che l’uomo diventerà. In fin dei conti, come in tutti i romanzi di fantascienza, l’elemento fantascientifico è solo un contesto in cui analizzare qualche aspetto delle umane vicende, e in questo caso l’autore tenta di prospettare il futuro dell’umanità in determinate condizioni (o, per dirla terra terra: se andiamo avanti così, ecco cosa succederà ai figli dei figli dei figli dei nostri figli).

Ma andiamo con ordine. Il romanzo di Wells è tutto al presente: un gruppo di amici si ritrova abitualmente a casa dell’inventore e questo, durante un incontro, racconta loro di aver inventato la macchina del tempo e che la settimana successiva, prima del loro nuovo incontro, la proverà. Quando si trovano nuovamente a casa dell’inventore, questi è assente: arriva in ritardo, tutto malconcio, promettendo una storia incredibile, ma solo dopo essersi sistemato ed aver mangiato. E dopo cena, inizia il suo racconto.

E’ stato, dice, avanti nel tempo, ben 802701 anni dopo l’era attuale (nota: in alcuni frammenti si parla di anno 802701, in altri di “spostamento in avanti” di 802701 anni – nella pratica, però, fa poca differenza) e vi ha trovato un mondo nettamente diverso da quello che conosciamo. Lo abitano piccoli esseri ben curati, tutti vestiti uguali, che si nutrono di frutti e verdura: il primo incontro, seppur strano, gli ha palesato un mondo idilliaco, quasi bucolico, dove la natura regna e l’armonia fra gli esseri è la regola fondamentale. Ma più stava in quel mondo, più c’erano cose che non quadravano. Gli esseri esprimevano entusiasmo ed interesse quasi fanciulleschi: passavano dal forte stupore al totale disinteresse per le nuove cose nell’arco di pochi istanti. Sembravano non avere una cultura, una scrittura, nessun altro mezzo per comunicare oltre a dei suoni che si scambiavano, per fortuna talmente semplici che l’inventore riusci a capirne la struttura e a comunicare – almeno un po’ – con loro. E avevano una paura folle del buio. Certo se quella fosse l’evoluzione della razza umana si dovrebbe parlare, per molti aspetti, più di regressione che di avanzamento: tutto quello che era stato costruito (conoscenza e cultura, arte e bellezza, ingegno e intelligenza) erano sparite.

Ma, povero inventore, anche la macchina del tempo era sparita. L’inventore inizialmente pensa ad un gioco di questi nuovi esseri, ma si accorgerà ben presto di una più cruda realtà. Sotto di loro, nelle viscere della terra, vive un’altra razza che adora la notte, perché è l’unico momento in cui possono uscire e andare a caccia per recuperare il loro nutrimento: gli esseri del mondo di sopra.

Le razze allora sono due, e l’evoluzione dell’uomo ha portato i primi a vivere idilliaci, quasi senza preoccupazioni, sulla superficie, ed i secondi ad essere famelici cacciatori notturni che, per sfuggire alla luce, di giorno vivono nelle cavità più nascoste della terra.

Chi sono gli uni e chi gli altri? Perché si è arrivati a questa divisione? E perché gli esseri della notte si occupano di pascere gli abitanti della superficie come bestie da allevare per il loro nutrimento? E’ la divisione sociale, ragiona l’inventore: se da una parte gli impresari, i ricchi, i potenti, col loro stare sopra gli uomini, sono diventati la razza di superficie, inevitabilmente dall’altra parte gli operai, i lavoratori, abituati spesso a stare nel buio delle fabbriche e a godere di poca luce, si sono trasformati nei predatori del mondo sotterraneo. E ad un certo punto c’è stato un ribaltamento dei valori: se prima era la classe operaia a nutrire (con la loro fatica) i ricchi, adesso sono i ricchi ad esser diventati letteralmente cibo della classe operaia.

Ora, il blog è uno strumento veloce, dove si dovrebbero descrivere cose brevemente. Tutto il concetto espresso dall’inventore io ho provato a riassumerlo nelle poche righe scritte qui sopra, ma ovviamente ho dovuto tagliare e accorciare. E poi, sinceramente, non concordo con la tesi che Wells fa esprimere all’inventore e mi risulta più complesso spiegarla rispetto a qualcosa di mio. Ma spero di aver reso l’idea.

Per concludere, dopo varie vicissitudini, dopo aver lottato per recuperare la macchina (ma senza nessun essere superiore, fra i cavernicoli, come si vede nel film), dopo aver viaggiato ancora avanti nel tempo fin quasi alla fine del mondo e constatato la fine della razza umana e la lenta morte del pianeta terra, l’inventore torna a casa dove, appunto, lo stanno aspettando gli amici per cena. E dopo cena racconta tutte le sue vicissitudini, mostrando anche qualche strano fiore che si ritrova in tasca (glieli aveva messi uno degli esserini di superficie). C’è che gli crede sulla parola, chi no, chi è possibilista ma vorrebbe qualche prova…

E il giorno dopo, uno degli amici, la voce narrante del romanzo, torna a visitare l’inventore e lo vede intento a preparare un nuovo viaggio portandosi dietro anche qualche attrezzo ed una piccola macchina fotografica (per quello che potevano esser piccole, all’epoca). Si sente un piccolo botto, una espressione di meraviglia: nella stanza della macchina la stessa è svanita, e con lei l’inventore. Ma nessuno, da allora, l’ha più visto tornare.

Inutile fare un paragone con il film: le due storie in alcuni punti sono simili, in altri si intrecciano, in altri ancora divergono sensibilmente. Gli esseri del mondo di sopra, nel film (quello del 2002), sono completamente diversi da quelli del libro, praticamente umani. E anche il finale è completamente diverso. Il film è una storia di amore, il libro sembra più essere un tentativo di analisi sociale. E spulciando qua e la fra i commenti su internet sembra proprio che l’intento di Wells fosse quello: una ipotesi del mondo futuro partendo dalla condizione dell’epoca. Ma non mi interessa, ora, addentrarmi in questa analisi: come dicevo sopra ci vorrebbe ben più di un blog per parlarne seriamente.

L’unica cosa che posso dire è che assume un significato diverso il viaggio che l’inventore fa fino alla fine del mondo. Nel libro la sua curiosità lo spinge a vedere come sarà il mondo millenni dopo le vicende raccontate, quando il sole si sta ormai spengendo e della razza umana non ci sono più tracce… Tutto ha una fine, e anche l’uomo è finito, non ne rimarrà traccia. Questo sembra pensare l’inventore del libro. Mentre nel film l’inventore sembra – dopo la stessa visione – decidere di dare una speranza al mondo. Se se ne fosse andato senza aiutare quel nuovo popolo, allora tutto sarebbe finito come nel libro. Ma cosa accade se decide di restare, aiutare i nuovi uomini, e debellare la razza sotterranea? Ecco che la fine del mondo sembra dare una nuova spinta all’inventore (del film), mentre per l’inventore del libro è solo una conferma delle sue analisi (la razza umana, nelle sue lotte, si autodistruggerà).

Mi è piaciuto il libro? Direi di sì. Non conosco le precedenti edizioni (traduzioni) ma devo dire che il lavoro fatto da Michele Mari è buono (traduzione) e molto ampio (introduzione).

L’unico appunto che posso fare è solo sul prezzo. perché – chi mi legge di frequente lo sa – io preferisco prezzi più bassi, che mi permettano di comprare più libri ancora 🙂

Quello che intendo dire è che capisco il prezzo di 17 Eur per questa edizione, curata, ben fatta, con un uso corretto della lingua… Però, come sempre, se il prezzo fosse stato di 12 Eur avrei in tasca, adesso, 5 Eur da spendere per un altro libro. Se si confronta, inoltre, questo prezzo con un Sellerio qualsiasi (da Malvaldi a Camilleri a tutti gli altri), che è venduto a 14 Eur, si ha l’impressione che il prezzo sia alto. Non nego che di lavoro ce ne sia stato tanto (e che traduttore e staff completo si meritino questi soldi), è solo il mio desiderio di acquistare più libri con gli stessi soldi.

Che resta da dire? Solo buona lettura (e buonanotte).

 

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