Il sangue versato (Åsa Larsson)

(dal sito del’editore)

Rebecka Martinsson si trova di nuovo a Kiruna, dove era scampata alla morte appena pochi mesi prima. E’ una specie di terapia per cercare di vincere le paure che la hanno profondamente ferita in quella avventura. Usa come scusa il lavoro: accompagnare un collega ad incontrare clienti.

Decide di restare qualche giorno, sempre con la scusa di alcuni lavori per i clienti, per affrontare sé stessa tornando nella casa della nonna e nei luoghi dove tutto è accaduto. Ma mai si sarebbe aspettata di dover affrontare una nuova minaccia alla sua vita.

Ecco, se appena vediamo “La signora in giallo” ci viene, istintivamente ma anche scherzosamente, di fare gesti apotropaici (d’altronde, ovunque lei si trovi – e per fortuna sono solo telefilm – ci scappa sempre il morto), con Rebecka Martisson l’istinto sarebbe di abbracciarla forte e sussurrarle che non succederà niente, che tutti questi sono solo brutti sogni. Ammesso che lei si faccia abbracciare.

In questo secondo capitolo la nostra eroina sta affrontando, come accennavo, una ingarbugliata situazione psicologica frutto delle disavventure vissute nel precedente romanzo. Nessuno di noi esce pulito e tranquillo da nessuna morte, neppure dalla più naturale. Figuriamoci lei che ha smascherato gli assassini di un suo “vecchio” amico e che, per salvare sé stessa ma soprattutto due bambine, ha dovuto lottare contro i suoi attentatori fino ad ucciderli. Ferita, e salvata per miracolo dai poliziotti che seguivano il caso, piano piano si è ripresa fisicamente, ma nell’animo ha un profondo buio che rischia di inghiottirla.

Spinta dai pochi amici che ha (carattere abbastanza solitario, dopo le ultime vicende si è chiusa ancor di più in sé stessa) ad affrontare la situazione recandosi di nuovo a Kiruna, dove tutto è accaduto, Rebecka trova un po’ di pace fra persone che, almeno inizialmente, non conoscono il suo passato e la accettano semplicemente come una ragazza un  po’ strana, sì, ma fondamentalmente buona. Certo, qualcuno storce il naso per la sua professione (avvocato) e l’abbigliamento (molto cittadino) . Ma dopo qualche giorno, quando la conoscono meglio, iniziano ad apprezzarla. Tranne qualcuno, che fa qualche indagine su di lei.

Rebecka si trova, inconsapevolmente e assolutamente in modo non voluto, coinvolta nell’assassinio di una pastore protestante, Mildred. I fatti si sono svolti qualche tempo prima, ma le indagini sono ancora in corso, e la nostra eroina viene incaricata di reclamare, dal marito di Mildred, la canonnica dove loro vivevano e che fra poco dovrà ospitare un nuovo pastore. Venuta in possesso delle chiavi della cassetta di sicurezza, per uno scrupolo etico (più che professionale) ne controlla il contenuto e fa arrivare ad Anna-Maria Mella, detective conosciuta nel precedente episodio, tutto ciò che ritiene importante per la soluzione del caso. Ed in effetti la polizia trova molto interessanti alcuni documenti, tanto che riescono a smuovere un po’ le acque intorno all’omicidio, arrivando a formulare delle buone ipotesi sul perché Mildred sia stata assassinata.

L’apporto di Rebecka al caso è semplicemente questo, tanto che – se ci si dovesse basare solo sul giallo – lei potrebbe essere un piccolo personaggio secondario. Ma è la sua presenza in paese che scatena una serie di eventi che porteranno, nelle ultime pagine, ad una drammatica conclusione (di cui vi rivelerò solamente che Rebecka sopravvive – anche perché sapete già che ci sono altri libri dove troviamo la nostra eroina).

Raccontare qualcosa in più della trama è complesso. Come nel precedente libro, i primi capitoli servono per inquadrare il tutto e descrivono, soprattutto, lo stato d’animo di Rebecka. La partenza è un po’ lenta, ma piano piano ti prende e non riesci a staccarti. Confesso che mi ha aiutato il clima di relax (fine settimana al mare + sdraio molto comodo = ore di lettura assicurate).

Via via che leggevo mi sono costruito, in mente, la metafora del puzzle. Ogni vicenda di questo romanzo parte in modo separato dalle altre: si racconta un fatto, un personaggio, un animale o, al massimo, un pezzetto di storia di Rebecka. Attorno aquesti primi nuclei (pezzi di puzzle), capitolo per capitolo, se ne aggregano altri. Finché alcuni non si collegano e – ormai giunti a due terzi del libro – riesci a farti un quadro completo a cui mancano, però, una serie di piccoli dettagli che verranno aggiunti nelle pagine rimanenti. Insomma, proprio come un puzzle che piano piano si compone nella tua mente e solo quando hai messo l’ultimo pezzo riesci a percepirne l’armonia e tutti gli incastri, anche questo romanzo ti fornisce pagina per pagina piccoli pezzi che costituiscono – alla fine – il quadro completo della situazione.

Ben strutturato, direi quasi cesellato per far arrivare, goccia a goccia, nuovi elementi al lettore: è un romanzo che ti convince a leggerne sempre di più finché non arrivi alla fine. Storie dentro le storie (la lupa dalle zampe gialle, che sembra non entrarci per niente e poi, invece…), tutta una serie di flash back che rendono vivi e veri i personaggi, delineando i loro tratti somatici ma soprattutto psicologici, stati d’animo descritti in modo profondo… Tutto funziona per farti sentire parte del romanzo, vicino a Rebecka quando va ad aprire la cassetta di sicurezza di Mildred, in salotto con Lisa ed i suoi cani, nella cantina insieme a Nalle che sta dando da mangiare a un topolino. Più vai avanti nella lettura, più ti sembra di essere presente nella storia, osservatore muto ed inerte, ma vivo e pieno di empatia per i protagonisti.

Devo fare un paragone, perché fra i romanzi che mi piacciono ci sono i thriller adrenalinici, quelli dove tutto succede velocemente, dove l’azione è concitata e ininterrotta (ad esempio l’ultimo letto: “Non guardare nell’abisso“, di Massimo Polidoro).

Questo romanzo è completamente diverso come narrazione, eppure ha lo stesso effetto, ti attanaglia alle pagine e non riesci a staccarti finché non hai finito. Se nei primi tutto accade veloce, tutto è immediato ed ogni azione chiama la successiva in un crescendo di tensione, in questo si ha una prevalenza sulla psicologia dei personaggi: i lettori conoscono le loro storie, si ingarbugliamo nei loro pensieri, vivono le loro emozioni e le loro paure in un contino di flash back, pensieri, attese, riflessioni.

Se da un lato il thriller di Polidoro è bello perché è vissuto tutto d’un fiato, questo è bello perché è lento. Ma non noioso, quel lento che ti permette di conoscere. Se l’altro ti da una scarica di adrenalina come se scendessi in bici, senza freni, dalla vetta di una montagna, questo è come una passeggiata leggera per giungere in vetta alla stessa montagna, dove ogni nuovo passo ti apre un frammento in più di panorama, un nuovo piccolo scorcio di cui stupirti. Due modi di affrontare la stessa montagna (oddio, ecco che sbuca, inatteso, Mann 🙂 ) in modo completamente diverso ma ugualmente bello.

E se nei thriller adrenalinici ti trovi a fare il tifo per qualche personaggio, in questi psicologici non puoi, alla fine, non provare empatia verso i protagonisti, anche quelli “negativi”. E’ vero che (questi ultimi) hanno commesso un delitto, ma quando hai ascoltato i loro pensieri, quando hai seguito il filo della loro (particolare) logica, quando – conoscendo le loro storie – ti metti un po’ nei loro panni, comprendi (pur senza giustificare) perché sono arrivati a quel passo. E ti dici che forse, con vari se e vari ma, il personaggio poteva venirne fuori in modo diverso.

A mio modesto parere, poi, questo secondo capitolo delle avventure di Rebecka è ancora meglio del primo. La Larson scava più a fondo rispetto al precedente: alcuni personaggi ti diventano quasi familiari, come se li conoscessi da tempo.

Siamo in tempo di ferie: è forse – questo – un romanzo da portarsi sotto l’ombrellone? Insomma… Sì, io me lo son portato, ma non posso dire si adatti bene ad un clima allegro da spiaggia. Perché a volte ti costringe ad estranearti, ad isolarti. C’è anche un fattore pratico: 400 pagine per circa 5 cm di altezza. Non è proprio un tascabile, diciamolo. Il tutto per 12,50 Eur (prezzo di copertina dell’ottava edizione – anno 2014). Insomma, il prezzo non è male: è in linea con quello che mi aspetto per questi romanzi. Anzi…

Un ultima nota sulla traduzione. Nel precedente post (per il precedente romanzo) mi aveva colpito un elemento: il colore “uva ursina” usato per descrivere le labbra di una persona. Questa volta invece abbiamo “uva di montagna“. Che, credo di aver capito, è la stessa cosa. La traduttrice è la stessa: Katia De Marco… Sarei curioso di sapere come mai questo cambiamento. Ma per il resto mi sembra perfetto come nel precedente caso.

Mi rimane solo da augurarvi buona lettura. E vi avviso che ho già preso il terzo capitolo della saga…

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