Incuriosito da una intervista radiofonica con l’autore, mi son convinto a prendere questo libro. In realtà c’è un dettaglio che mi aveva colpito, quando l’autore – raccontando il libro – cita l'”egofono” e spiega che è una traduzione letterale di un certo smart phone (si può anche dire: iPhone, della Apple). Insomma, mi incuriosiva questo personaggio narrato che puntigliosamente punteggiava tutte le “i” che gli passavano davanti… Ed ho comprato il libro.
Ma, sarà che il periodo non è dei migliori, per me, per la lettura, sarà che forse ero un po’ stanco, confesso che il libro non mi ha lasciato né caldo né freddo. Scritto bene, tutto in prima persona, una storia che scorre, un personaggio (oserei dire) ben definito. Però, forse, non era adatto per me in questo momento.
E’ il racconto di un periodo indefinito di tempo (potrebbero essere poche settimane come pochi mesi, ma sicuramente non più di metà anno) di un ricercatore universitario, antropologo, impegnato in un progetto di ricerca sull’esultanza dei calciatori. Che detta così parrebbe roba seria, invece si ritrova, tre volte a settimana, col suo collega (precario universitario come lui – come si definiscono) a visionare e catalogare scenate più o meno fantasiose di calciatori dopo che hanno segnato il gol. Si chiama Giulio, vive ancora con la madre e ha una fidanzata, Agnese, che gli dice di essere un rompiballe stabile perché, appunto, puntualizza su tutto. In una pianura industriosa del nord Italia, dove il lavoro degli anni passati lascia, adesso, solo capannoni mezzi vuoti e inutilizzati, Giulio cerca di capire cosa fare della sua vita. Ancora ricercatore, si sente in realtà parcheggiato a fare qualcosa di decisamente inutile in cambio di uno “stipendio” che gli impedisce ogni futuro.
E riflette, Giulio. E ragiona. E pensa all’esistenza, all’ “Io”, a tutto l’egocentrismo che il mondo di oggi, coi nuovi media, ci permette di esprimere. Essere sempre al centro dell’attenzione degli altri, per sentirsi vivi. Ecco: il messaggio (o forse uno dei messaggi) di base è questo, e lo si legge. E inizialmente mi chiedevo se questo romanzo potesse rientrare nel filone dei romanzi di crescita, dove il protagonista assume una nuova consapevolezza di sé, perché – in fondo – Giulio un po’ cresce, ma rimanendo lo stesso Giulio di sempre. Cambia qualcosa della sua vita, ma non gli cambia la vita.
Giulio è una persona insofferente all’ “io”. Sarà perché è l’unico rimprovero che suo padre gli abbia mai fatto (“hai detto io troppe volte”) e non si trova in questo mondo dove tutti sono sempre connessi a molteplici social media per esprimere il proprio io, mezzo per restare vivi, o forse più per far sentire agli altri che ci sono ancora. Inizialmente Giulio mi restava anche un po’ simpatico, perché condivido alcuni suoi punti di vista (l’insofferenza all’entusiasmo forzato e smanaccione delle foto, per esempio), però l’ho perso nei capitoli successivi. Costretto, per certi versi, a vivere una vita di attesa, mi è sembrato in parte non volersi neppure ribellare a quella vita, non voler far nulla per cambiarla: ne è esempio il capannone del padre, insieme ricordo d’infanzia e peso da dimenticare. Solo alla fine, solo quando trova il coraggio di vendere il capannone, sembra iniziare a riprendere in pugno la sua vita. Con gesti semplici (niente di eclatante), ma con un nuovo orgoglio: il lavoro manuale che compie al bar della sua ragazza, una notte che la luce è andata via, sembra avergli ridato sprint. Forse perché è proprio l’operosità con le mani che ci da un senso: far tornare pulito qualcosa di sporco (quello che ha fatto lui); far uscire una gamba di tavolo da un tronco di legno (come faceva suo padre)…
Insomma, non è che mi sia dispiaciuto, come libro, ma mi ha lasciato un po’ in sospeso, senza aver acquisito qualcosa in più io, ma anche senza averci perso troppo tempo. Ripeto: è scritto bene, con uno stile che si addice al protagonista, fatto in parte da flash di pensieri sparsi, in parte da racconti veri e propri. E tutto cosparso di metafore (il vicino di lavoro del padre, o la prof del liceo, che ronzano intorno a Giulio, sono come grilli parlanti, coscienze che gli ricordano alcuni aspetti della sua vita…). Non è una storia finita, ma solo un frammento di vita di un “giovane adulto” che sta cercando il senso della propria esistenza.
Non so se consigliarlo. Sicuramente merita leggerlo, ma io, in questo momento, avrei preferito prenderlo dalla biblioteca invece che spenderci 14 euro (prezzo di copertina – si trova sicuramente a meno su vari siti o in determinate librerie). Mi piacerebbe sapere cosa ne pensa un lettore che si trovi nelle stesse condizioni del protagonista, oppure un fan di Michele Serra (è il primo libro che leggo, di quest’autore). Confesso che l’intervista radiofonica mi aveva lasciato aspettative diverse da quanto ho poi realmente trovato.
Comunque sia, sono dell’idea che la lettura non è mai tempo perso. Per questo vi auguro buona lettura! 🙂
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