Incuriosisci oggi, incuriosisci domani, alla fine mi è toccato cercare (perché non si trova nelle librerie “standard”, ma va cercato in quelle che si occupano di “antiquariato”, essendo un libro “vecchiotto”) e comprare questa opera di Curzio Malaparte, nome d’arte di Kurt Erich Suckert, nato (nonostante il nome) a Prato e grande estimatore dei toscani. Tanto che apre il primo capitolo (almeno nella trentacinquesima edizione in mio possesso) con “E maggior fortuna sarebbe, se in Italia ci fossero più toscani e meno italiani“.
E come dargli torto? Son pienamente d’accordo anche io! Possiamo chiudere il post qui: leggete il libro, meditate, e se siete toscani gioite, sennò pentitevene 🙂 No, non scherziamo, una delle bellezze Italiche è proprio la commistione fra tanti popoli, la fusione di tante culture, l’intreccio di tante idee: è uno dei nostri maggiori pregi, ma anche uno dei nostri più grandi difetti; ci dona genio e sregolatezza…
Però, sul fatto che i toscani siano un popolo particolare, ci son tornato più volte (spesso legandomi alle intemperanze dei quattro vecchietti del Bar Lume nei romanzi di Malvaldi). Con la battuta (spesso cinica e sfrontata) sempre pronta, con quell’aria un po’ superiore, senza peli sulla lingua (né propri, né di altri – per dir la verità in battuta), spesso litigiosi e faziosi, che non danno facilmente l’amicizia, ma quando la danno è speciale… Insomma, questi toscani sono un popolo un po’ strano: che sia frutto del DNA ereditato dagli etruschi (come accenna Curzio in alcune parti) o semplicemente perché son cresciuti così, non ve lo so dire. Però lo confermo: siamo strani (e, a dirla tutta, è una cosa che mi piace).
Ma lasciamo perdere come siamo e torniamo a parlare di come ci ha descritti il Malaparte (che questo è un blog di libri, non di psico-socio-eccetera-logia). L’autore presenta le varie zone della toscana attraverso gli abitanti delle maggiori città (Siena, Firenze, Prato, Livorno, e quasi tutte le altre provincie) e per ognuna descrive il carattere del popolo. Si scopre che i senesi sono molto più “morbidi” nel parlare, rispetto ai fiorentini: pur dicendo pane al pane e vino al vino, lo fanno con più garbo. O ci racconta, Curzio, che le “belle livornesi, fanno un figlio ogni due mesi”.
Si scopre, poi, che – in generale tutti i toscani ma soprattutto i pratesi – son disillusi: sanno che tutto passa e sanno (ancora una volta soprattutto i pratesi) che “tutta a Prato va a finire la storia d’Italia e d’Europa”, tutta in stracci (perché i pratesi erano famosi per riciclare stracci producendo tessuti, da cui la fama tuttora meritata di produttori di stoffe).
Viene descritto anche il particolare rapporto dei toscani con la morte e con l’aldilà (“se ne vanno all’altro mondo come se andassero in un altra stanza”, “I toscani, all’inferno, ci vanno a orinare”): non paura ma passaggio, momento obbligatorio della vita di tutti. Che è legato all’altro particolare rapporto dei toscani: con la religione (si sa: i toscani hanno una fervida fantasia per le invettive contro i santi e i loro “superiori”). Eppure il toscano è credente forse più di altri che si presentano tutti casa e chiesa. E’ che lo è a modo suo…
Ora, dovendo esser sincero, sì, ritrovo alcune spigolosità toscane nei brani di Malaparte, ma il toscano di oggi lo vedo un po’ diverso. Sempre pronto alla battuta, sempre cinico, ha capito che la faziosità non rende (è sempre pronto a difendere le sue origini e le sue idee, ma in modo più costruttivo rispetto al passato). Sempre pronto a canzonare, lo fa più per affetto che per dileggio: riprendo un frammento da un libro di Malvaldi, in cui i vecchietti del Bar Lume spiegano cosa è veramente la “presa per il culo”. Dicevo in questo post:
Stavolta l’autore approfitta, inoltre, del romanzo per parlare della toscanità. Forse ormai consapevole della fama nazionale, prova a spiegare una parte tutta peculiare della nostra personalità che è la “presa per il culo”. Come dice Marco [Malvaldi] nel capitolo 10 [de Il telefono senza fili], prendere per il culo (manteniamo il toscanismo e non volgarizziamo in “presa in giro”, che perderebbe di significato) una persona è “una dimostrazione di affetto e, insieme, un palese riconoscimento alla sua intelligenza e alle sue capacità sociali“. Il perché ve lo lascio leggere nel romanzo.
All’epoca “Maledetti Toscani” costava 1.000 lire (35a edizione, Luglio 1959), io l’ho trovato nell’antiquariato (tramite Maremagnum) a circa 16 euro + spese spedizione: la mia copia non è perfetta, ma è buona, si trovano copie migliori a prezzi anche molto più alti.
Merita comprarlo? Se siete appassionati di toscanità o se siete toscani e volete riscoprire un po’ delle vostre (nostre) origini, sì, sicuramente merita. Per tutti gli altri dico che non è un saggio, non è un romanzo, è una esaltazione di alcune caratteristiche dei toscani, caratteristiche che rendono questo popolo “speciale” (a detta di Curzio).
Io, in verità, sono orgoglioso di esser toscano, fiorentino, campagnolo addirittura. Penso il nostro sia davvero un popolo speciale? Sì e no: alcune caratteristiche indicate da Curzio le ritrovo e altre meno. I toscani hanno alcune peculiarità, i lombardi altre, i pugliesi altre ancora e così via. Credo nessuno sia più speciale di altri, ma ognuno è speciale a suo modo…
Però è anche vero che il nostro cinismo e il nostro parlar chiaro ci fa essere molto graditi a chi cerca punti di vista più obiettivi, e al tempo stesso molto sgraditi a chi vorrebbe sentirsi dire solo quello che gli piace. Ed è vero che consideriamo qualsiasi autorità (dal Sindaco, al Presidente, all’Imperatore, al Papa) come dovrebbero essere, cioè – anche loro – persone come noi, e difficilmente ci facciamo mettere i piedi in testa. Ed è infine vero che questo nostro atteggiamento un po’ ci isola (diceva Curzio nel primo capitolo che addirittura si ha “paura” del toscano, perché ci può svergognare in pubblico con una naturalezza incredibile). Però siamo fatti così: in alcuni passaggi credo che Malaparte esageri un po’ alcune caratteristiche, ma ce le abbiamo e, in genere, ne andiamo fieri.
Insomma, se volete conoscerci meglio, questo libro una buona idea può darvela. Non la più precisa per i tempi attuali (alcune cose son cambiate dall’epoca in cui l’autore redigeva questo testo), ma che si avvicina molto al “toscano DOC” (Denominazione di Orgine Controllata).
Buona lettura.
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E’ in Maledetti Toscani che, scrivendo di Lorenzo il Magnifico, aggiunge che doveva essere pratese per essere davvero magnifico? Quella battuta mi ha sempre fatto ridere come un matto.
Esatto. Fine del capitolo VI: “[…canzonicina] antica quanto, o giù di lì, il chi vuol esser lieto sia di Lorenzo, al quale una sola cosa mancò per esser veramente magnifico: l’esser pratese”