Storia di un ragazzo e degli adulti che lo circondano, durante la seconda guerra mondiale…
Che Calvino mi abbia appassionato lo avrà sicuramente capito chi segue questo blog. Mi sono finalmente potuto dedicare al suo primo romanzo (non la prima cosa da lui scritta, in generale, ma il primo vero romanzo) con una certa emozione e chiedendomi quale Calvino potevo scovarci. Forse l’eclettico e surreale autore delle Cosmicomiche? Oppure il cavalleresco scrittore dei romanzi sul barone, sul visconte e sul cavaliere? Lo spiritoso Calvino delle vicende di Marcovaldo o il cupo Italo che ci racconta la giornata di uno scrutatore?
Diversamente da molti autori (fra quelli che ho letto); Calvino spazia (e spiazza) per la capacità di variare stile e modo di scrivere. Tutto sempre incanalato nelle sei regole delle lezioni americane, ma tutto sempre in movimento, in cambiamento.
Essendo il primo romanzo, in questo “I sentieri dei nidi di ragno” forse si scopre un Calvino più reale; forse è proprio questo l’autore-base da cui poi nascono tutte le sfaccettature.
Ma iniziamo con un po’ di trama: Calvino racconta una storia realistica ambientata durante la seconda guerra mondiale. Un ragazzetto (forse 10-12 anni) che è stato costretto a confrontarsi col mondo dei grandi troppo presto e in modo brusco ci porta in Liguria, fra la campagna e la città, fra i monti ed il mare, a conoscere una serie di personaggi-macchietta che vivono le assurdità della guerra.
Pin (così si chiama il ragazzo) è per certi versi ancora un bambino. Vorrebbe giocare, vorrebbe che i grandi lo considerassero ma non capisce il loro mondo. Si è fatta una certa fama: prende in giro tutti, con malizia e cattiveria; ha un linguaggio sboccato e si diverte a cantare canzoni oscene (o meglio, si diverte quando i grandi lo incitano cantare quelle canzoni). Vive fra il carrugio dove abita, la bottega del calzolaio dove dovrebbe lavorare e l’osteria dove un gruppo di grandi si ritrova per bere.
C’è la guerra tutto intorno: Pin è orfano e vive con una sorella più grande che fa la prostituta. Pin non capisce l’attrazione maschile verso le donne, non capisce molti comportamenti, ma sa che deve fare certe cose per attirare l’attenzione dei grandi. Ecco perché i dispetti, le canzonature, il linguaggio a tratti volgare. Si atteggia a grande per entrare nel mondo dei grandi e, la tempo stesso, per prendersene gioco.
Un giorno i grandi gli dicono che potrebbe rubare la pistola ad uno dei “fidanzati” di sua sorella, un capitano della marina tedesca che frequenta la loro casa spesso. Pin accetta il gioco, anche se sa che non potrà più tornare indietro: una volta presa la pistola del tedesco avrà passato un limite. E’ consapevole delle conseguenze, eppure svolge il compito. Forse perché pensa di esser visto come grande, poi, dai grandi, esser trattato da pari a pari. E invece, quando prova a portare la pistola ai grandi questi sembrano disinteressati, sembra che non importi loro più niente né della pistola, né del tedesco, né di lui.
Pin si rifugia, allora, nel suo nascondiglio segreto, un viottolo di campagna dove son presenti tante tane di ragni: il sentiero dei nidi di ragno, appunto. Deluso e disilluso cerca di capire cosa fare. Nasconde la pistola e torna verso la città, ma i tedeschi lo catturano e cercano di interrogarlo: Pin sa bene che i grandi lo vedono ancora come un bambino, e quindi sfrutta la situazione al meglio che può con scenate e pianti “bambineschi” tali che alla fine viene sospeso l’interrogatorio e Pin viene portato in carcere. Scappato con l’aiuto di un partigiano, si trova a girovagare fra le alpi liguri in compagnia del distaccamento di partigiani del Dritto, composto tutto di uomini strani, ognuno con la sua fisima o col suo tic. Nuovi amici con cui stare, nuovi grandi da ammirare e da prendere in giro, nuovi adulti a cui chiedere attenzione, nuove persone da cui rimane deluso.
Fra un tradimento, una battaglia contro i tedeschi e vari altri eventi Pin si troverà di nuovo solo, costretto a scappare dall’ultima sua cattiveria provocata dal comportamento dei grandi. Di nuovo al sentiero dei ragni, di nuovo da solo, dopo aver abbandonato anche la sorella. Finché un’ombra lo avvicina nella notte: è “Cugino”, il gigante buono del distaccamento del dritto. E i due si prendon per mano, nella notte, e riprendono il cammino. Per dove non si sa.
Piccola nota: questo finale mi ricorda tremendamente, sia per le parole sia per l’atmosfera di velata tristezza mista a malinconia, la canzone “il vecchio e il bambino” di Guccini…
Calvino racconta tutta questa vicenda in terza persona, come da osservatore esterno che fa una cronaca degli eventi, ma che riesce a leggere nel pensiero di Pin e a descriverci le sue sensazioni. Mentre tutti gli altri personaggi sono caratterizzati più come “macchiette” (ognuno ha un tic, ognuno è chiamato solo col soprannome, di nessuno si sa la storia), di Pin conosciamo quasi tutto. E capiamo subito che è un bambino che si atteggia a grande per richiamare l’attenzione dei grandi. Raccoglie tutta la meschinità che trova nel mondo dei grandi e la “risputa” loro addosso per farsi notare, per farsi accettare in quel mondo così strano per lui. Un mondo che lo attira e che, al tempo stesso, gli fa paura. In fondo, come ragazzino, vorrebbe solo giocare, vorrebbe crescere come crescono tutti i bambini del mondo. Invidia i suoi coetanei che poi prende in giro. Invidia i grandi perché possono fare cose da grandi (come uccidere) ma quando è in mezzo a loro si sente a disagio. Cerca il grande amico con cui condividere i segreti, ma rimane perennemente solo. Solo nelle ultime righe c’è un barlume di speranza grazie a Cugino, anche se Pin ignora che – forse – l’odio di Cugino per le donne l’ha portato ad uccidere la sorella di Pin che si era venduta ai tedeschi (nel romanzo non viene detto esplicitamente, ma la sequenza dei fatti porta con sufficiente sicurezza a questa convinzione).
L’atmosfera del racconto è cupa come le mattine nebbiose descritte da Calvino nel romanzo. Non c’è niente di chiaro e limpido: né la guerra che distrugge tutto, né in quei partigiani, con la loro frenesia di uccidere, né nei tedeschi coi “baffi da topo”, né tanto meno nella sorella di Pin che vende il suo corpo per una vita fintamente migliore. Forse è proprio questo che delude Pin: la falsità, il non essere chiari. Nell’ingenuità di un ragazzetto forse le cose sono ancora abbastanza nette, più di quanto sono nel mondo dei grandi, in cui usiamo molte sfumature e, spesso, avvolgiamo in qualche tipo di “nebbia” i nostri pensieri.
Già da questo romanzo si nota la capacità di Calvino di costruire una storia. Le famose “lezioni americane” da lui preparate a fine vita (e mai – purtroppo – tenute) si ritrovano in questo racconto. Cito solo un paio di esempi: la “leggerezza” mantiene questa storia nei cardini di una lettura semplice, senza troppi fronzoli. Ma non mancano i dettagli (significativi) che rispondono al canone dell’esattezza. Basta pensare solo ai personaggi: meno sono necessari, meno sono caratterizzati. E anche il paesaggio: Calvino non arriva alla ricchezza descrittiva di Mann (ricordo in particolare “Cane e padrone“, in cui i dettagli paesaggistici superavano di gran lunga il nocciolo della storia) ma riesce comunque a dare ai luoghi una loro identità e personalità.
Una curiosità: tempo fa avevo sentito parlare (forse su internet) di questo libro come il primo giallo di Calvino. Non è un giallo, potremmo definirlo più un romanzo storico. Però è sicuramente il primo romanzo di Calvino, successivo ad una serie di scritti (poesia, brevi racconti, brani teatrali). Italo non era molto convinto di poter scrivere un romanzo, ma fu spronato da persone del calibro di Cesare Pavese, e così si mise all’opera e tirò fuori questo libro (e tanti altri dopo).
L’edizione in mio possesso (Oscar Mondadori) è una ennesima ristampa e costa “solo” 9 euro. Non sono pochi, lo so, ma rispetto ad altri libri venduti a 14-18-20 euro questo vale sicuramente di più. Al supermercato l’ho trovato con uno sconto del 15%.
In questa edizione l’autore stesso fa una lunga introduzione al romanzo e usa una tecnica particolare per indicare vari aspetti della storia e di come sia nata. Inizia a raccontare una cosa, poi sembra perdersi (ma niente in Calvino è a caso) e quindi dice che è meglio ricominciare. E nel nuovo paragrafo racconta una nuova versione della nascita del romanzo e nuovi retroscena. E lo fa più volte: è come un diamante che deve esser visto una faccia per volta per capire tutto il suo valore. E’ qualcosa di molto particolare e – in parte – anche fuorviante. Sembra, insomma, che già dalla introduzione Calvino voglia mascherare tutto con quel clima nebbioso che avvolge le montagne da lui raccontate.
Libro sicuramente da avere nella propria biblioteca, secondo me si legge bene coi primi freddi quando un po’ di malinconia della bella stagione, e le giornate più corte, si “sposano” col clima raccontato nel libro (sia clima meteorologico sia lo stile leggermente “noir” del romanzo).
Buona lettura 🙂
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