Ave Mary (Michela Murgia)

Maria vista dagli occhi di una donna

B, una cara amica e collega, nel chiacchierare di libri e di donne, mi ha consigliato questo libro e – qualche giorno dopo – me lo ha prestato perché lo leggessi.

Inizialmente un po’ scettico (pensavo fosse una riflessione sul “sì” di Maria e sul valore del “sì” femminile, oppure un excursus sulle varie figure di donna presenti nella bibbia) ho lasciato il libro sul comodino in attesa di tempo (e voglia) per leggerlo. E mi ha sorpreso, invece, per il tema che affronta, cioè la condizione femminile vista con gli occhi di una donna cattolica (che io sappia, credente e praticante) e confrontata con la visione “ecclesiale” dell’elemento femminile.

Nei primi capitoli mi ha un po’ stordito: pur essendo (a posteriori) d’accordo con alcune conclusioni e parzialmente d’accordo con le tematiche portate a supporto di esse, sono rimasto sorpreso quando Michela è partita dicendo che l’avversione per la figura della donna, nella Chiesa, è partita tutta dalla necessità di avere una comprimaria silenziosa e assertiva alla sofferenza di Cristo. Insomma, il progetto di salvezza di Dio si regge – secondo le argomentazioni della Chiesa che la Murgia presenta – su una donna silenziosa, docile al volere dell’uomo, e soprattutto in ombra rispetto ad esso.

Per quello che ho capito l’autrice insiste nel confutare (con documenti della Chiesa e scritti dei Padri) la sua ipotesi secondo la quale c’è stata una piena consapevolezza da parte degli uomini nel rilegare la figura femminile a personaggio indispensabile ma secondario. Una persona che ci deve per forza essere ma che serve solo a dare forza e consistenza al personaggio principale. E questo per tutte le figure femminili da lei indicate.

Ecco il punto che non mi trova d’accordo: concordo che la figura femminile nella Chiesa sia sempre stata (e in alcuni casi sia tutt’ora) trattata con superiorità. Concordo e riconosco che in alcuni casi noi uomini (anche quelli di chiesa – e stavolta lo scrivo volutamente con la “c” minuscola) trattiamo la donna come un oggetto o peggio. Non concordo con l’analisi fatta da Michela secondo la quale – nei vari secoli – la Chiesa ha mantenuto questo stato di cose consciamente e coscientemente. Secondo me ogni interpretazione deve avvenire nel contesto storico, e la figura femminile nell’ambito di una tribù ebrea di 2-3000 anni fa era vista molto peggio di oggi (penso sia inutile ricordare che le donne all’epoca non erano neppure degne di fiducia e il marito aveva diritto di vita e di morte sulla moglie). Credo, rispetto a Michela, che sia il contesto che abbia guidato quegli uomini a interpretare in certi modi la Scrittura. Michela mi sembra asserisca, invece, che sono le interpretazioni (coscienti) di questi uomini che hanno mantenuto il contesto così com’era. Giustifico il contesto e come venivano trattate le donne? Assolutamente no. Credo semplicemente che gli uomini, come sempre, si siano lasciati guidare da quello che era il pensiero (seppur sbagliato) comune. Concordo con Michela sul fatto che gli uomini potevano far di più per cambiare il contesto, ma non credo che abbiano (quasi) “manovrato” l’interpretazione delle scritture per piegarle ad esso.

Fin qui ho espresso le mie idee: ognuno è libero di averne e di pensarla diversamente. Apprezzo il lavoro di Michela perché mi ha permesso di confrontarmi con alcune mie idee (e su qualcosa mi ha aperto gli occhi), ma non condivido al 100% le sue conclusioni.

Adesso diamo un’occhiata (un po’ più asettica, o “neutra”, se preferite) al libro.

Questo testo nasce (racconta l’autrice) da un incontro avvenuto in un paese sardo (terra natia di Michela): il tema era “Donne e Chiesa: un risarcimento possibile?” Le donne partecipanti, che inizialmente sembravano far passare le parole delle relatrici come acqua sotto i ponti, si scatenarono alla fine del convegno quando una di loro fece presente – al parroco presente – che le tante “collaboratrici parrocchiali” erano in realtà solo donne delle pulizie.

Dalla discussione che ne nacque la Murgia ha provato a trarre questo testo in cui ripercorre le figure femminili all’interno della Chiesa. La figura più “usata” è – ovviamente – quella di Maria, madre di Cristo, che la Chiesa onora ed adora, ma che usa solo come fonte di pietà materna, di dolore, di riflessione. Maria, secondo Michela, è sempre stata presentata come la donna del “sì”, ma anche come colei che è trafitta dal dolore e come colei che silenziosa medita tutte queste cose. Non una donna attiva, con un certo ruolo, anche quando questo lo ha avuto (per esempio tenendo assieme gli apostoli dopo la morte di Cristo).

La Chiesa, insomma, ha presentato sempre una immagine di donna remissiva e in secondo piano rispetto all’uomo, mai “combattiva” (nel senso buono del termine) né risolutiva. Questo, secondo Michela, è stato fatto anche consciamente, cioè con l’intenzione di cavalcare uno stato di cose per mantenerlo tale (è il punto, come dicevo sopra, su cui non sono d’accordo).

Questa situazione continua anche oggi: ci sono parrocchie in cui – come diceva la donna al convegno – alle donne è dato solo il ruolo di donna di casa (pulizie, sistemazione dei locali, pasti durante i ritrovi) e in poche occasioni vengono chiamate donne a essere parte attiva del consiglio parrocchiale o nelle varie attività che una parrocchia svolge. Devo dire – faccio un piccolo accenno alla mia esperienza personale – che spesso dipende dai parroci: ne ho conosciuti di quelli che danno spazio alle donne e di quelli che le relegano a ruoli di pulizia e “infioratura” dell’altare.

Una cosa che ho apprezzato del libro è la semplicità con cui Michela spiega alcune terminologie bibliche che tutti noi conosciamo ma che derivano da una traduzione un po’ semplicistica dei testi originali (come la traduzione in “vergine”del termine che indica una ragazza giovane, non ancora maritata e non si riferisce ad una vergine in senso biologico. E su questa interpretazione si basa una parte sostanziale della fede del popolo cattolico  ribadita, ogni domenica, nel Credo).

I primi capitoli, lo confesso, mi erano sembrati fortemente femministi (di un femminismo a tutti i costi, direi), ma nel proseguire la lettura mi son dovuto ricredere. Non è, l’autrice, una esagerata sostenitrice delle proprie convinzioni, ma guida il lettore (a volte con determinazione) a seguire la sua logica e poi gli chiede se è d’accordo o meno.

Buona lettura.

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