Argento vivo (Marco Malvaldi)

Ricetta per passare una notte insonne: mettete insieme un informatico sfigato, un tecnico arrabbiato, un paio di loschi figuri, un romanziere in crisi e mixate energicamente.

Da tempo non mi capitava di fare le ore piccole per finire un romanzo. Anzi: da tanto tempo non mi capitava di aprire un romanzo (di oltre 260 pagine) il sabato pomeriggio e concluderlo lo stesso sabato, a notte fonda (sì, cari pignoli, avete ragione: tecnicamente sarebbe domenica mattina presto, ma a me piace considerarlo ancora sabato). Oddio: l’età si fa sentire e qualche ora dopo mi son svegliato un po’ rincoglionito, ma ne è valsa la pena.

Malvaldi ci regala un’altra sua opera, per certi versi simile alle precedenti, ma per altri molto diversa. Prima di tutto qui non c’è Massimo il barista con la combriccola dei vecchietti del Bar Lume (anche se un barista c’è, impiccione e caustico, ma fa solo una comparsata). Non è un giallo in senso stretto come quelli (appunto) del Bar Lume e, soprattutto, non è una storia lineare come quelle, appunto, di Massimo.

Vi racconterò la trama. Rivelerò, ovviamente, alcuni dettagli ma – se lo leggerete – scoprirete che il fatto criminoso viene portato alla luce subito e non c’è, quindi, da usare la logica per scoprire i colpevoli.

Prima di tutto ci sono più personaggi che interagiscono fra loro dando vita a tre filoni paralleli (e in parte indipendenti) della storia. Tre filoni che si intrecciano e, come vedremo alla fine, raccontano una unica storia, ma – cosa insolita nei precedenti romanzi di Malvaldi – si parte, usando un paragone geometrico, con tre rette che, ad un certo punto, sono costrette ad intrecciarsi.

Abbiamo Leonardo e Letizia, coppia di giovani sposini: lui informatico, lei insegnante, lui pasticcione e disorganizzato, lei precisa ed organizzatrice (anche per lui). Leonardo coltiva la passione dei libri e ne divora uno – a volte due – la settimana. Tiene un blog dove, con commenti sinceri (e, quando serve, acidi) critica nel bene e nel male le opere lette. Un po’ distratto, un po’ sfortunato, se non avesse Letizia che controbilancia questa sua caratteristica sarebbe sempre in un mare di guai.

Giacomo e Paola, invece, sono una coppia matura. Lui giocatore di golf e scrittore (non si capisce bene quale è più passione e quale più lavoro, fatto sta che lo scrivere gli concede di vivere abbastanza agiatamente) e lei architetto. Giacomo deve consegnare un romanzo a breve: ma sa già che il successo ottenuto coi primi difficilmente si ripeterà, nonostante l’impegno che la sua editor ci mette nella promozione (ma basta solo questo per tornare al successo?).

C’è poi Costantino, tecnico di allarmi in cerca di occupazione, che si è ritrovato invischiato in un lavoro non propriamente a tempo indeterminato (e non propriamente lecito); c’è l’agente di Polizia Stelea, insoddisfatta della carriera attuale (portineria, centralino e rotture varie – e burocratiche – di scatole). E ci sono, infine, il Gutta e il Gobbo.

E’ il Gobbo il punto in cui si intrecciano le storie: con l’aiuto di Gutta convince Costantino a partecipare ad un furto in casa di Giacomo e Paola. Per far ciò incaricano Costantino di rubare un’auto, una che dia poco negli occhi. Cosa di meglio della Peugeot di Leonardo?

Dal furto nascono una serie di vicissitudini che, in certi momenti, hanno il sapore di commedia: l’auto ha la lancetta del carburante rotta ed i ladri rimangono a piedi dopo il furto. E poi si dimenticano un portatile in essa, quel portatile dove è salvata l’unica copia più recente dell’ultimo romanzo di Giacomo. Romanzo che viene letto da Leonardo, che trova il portatile quando la polizia gli riconsegna l’auto. Romanzo che non piace a Leonardo e che vorrebbe dirne due all’autore (persona che stima ma che non riesce più a produrre – sempre secondo Leonardo – romanzi decenti). Incontri segreti fra romanziere e lettore scambiati per incontri d’amore da Paola; l’auto di Leonardo che diventa suo malgrado il mezzo o la destinataria di vendette trasversali. E tre donne (l’agente Stelea, Paola e Letizia) che ridonano equilibrio a tutta la storia salvaguardando gli uomini dal fare cavolate sempre più grosse.

Al di là dell’intreccio giallistico, quindi, il romanzo si basa più sul rapporto che nasce fra queste persone che sul trovare i colpevoli (tanto che – come già detto – del misfatto e dei suoi colpevoli sappiamo già tutto). A tratti poliziesco, a tratti commedia degli equivoci, mantiene vivi e freschi entrambi i fronti.

Altro pregio (probabilmente ripreso dalle commedie) è che Malvaldi si diverte per quasi tutto il romanzo a far intrecciare le storie concatenandole. Come il gioco che si fa con le parole (la parola successiva deve iniziare con le ultime lettere della precedente: parola, laccato, torrone, nerissimo, modella, lana…) l’autore inizia molti paragrafi con il finale del paragrafo precedente, anche se cambiano i personaggi. Ad esempio, in un capitolo c’è Leonardo che, parlando con Letizia,  chiude il capitolo con “… vediamo come evitare di farsi fregare” e nel paragrafo successivo il gobbo (assolutamente non rivolto a Leonardo) dice “a me non m’ha mai fregato nessuno”.

Leonardo, secondo me, prende molto di Malvaldi. Fisicamente vicino ad altri personaggi principali (primo fra tutti Massimo il barista), con carattere simile, ma soprattutto con competenze quasi uguali, potrebbe rappresentare benissimo l’autore sia perché persona intelligente, sia perché curioso, sia per la passione per i libri e la voglia di scriverne (e lo stile con cui lo fa). Non so se anche, addirittura, fisicamente. Non voglio dire che Leonardo sia l’alter ego di Marco, ma sicuramente l’autore ha attinto a molte delle sue caratteristiche per creare il personaggio.

E poi è puntiglioso: quando spiega a Giacomo perché il suo romanzo non funziona e, soprattutto, come ha fatto a riconoscere che era suo, si concentra molto sulla punteggiatura, sull’uso che spesso è sbagliato. Marco – sempre secondo me – scrive molto bene (è uno dei motivi per cui apprezzo i suoi romanzi), e questa caratteristica è ben rappresentata nelle spiegazioni di Leonardo a Giacomo.

Altra caratteristica di questa opera è di racchiudere un romanzo al suo interno: quello che Giacomo sta scrivendo, e che parla, guarda caso, di un professore di matematica che ricerca una firma caratteristica che permetta di individuare – per ogni brano musicale – il suo autore. E questa firma, si scoprirà, potrebbe esser trovata proprio nelle pause: come ogni autore le usa, il silenzio che l’autore impone per dare un respiro alla sua opera. Pause che, nella letteratura, corrispondono pari pari alla punteggiatura, cioè allo stesso discorso che Leonardo fa a Giacomo.

Ecco: se vogliamo trovare il difetto al romanzo, forse è proprio il romanzo nel romanzo. L’idea – già sfruttata da altri (solo due esempi: il Manzoni ne “I promessi sposi” e Potocki nel “Manoscritto trovato a Saragozza“) – è comunque carina. Ma per me pecca, in questo caso, di due difetti: il primo è che non è un romanzo realistico (ne vengono presentati alcuni capitoli indicati come lontani fra loro, ma la storia sembra concludersi tutta in quei capitoli, come se fossero inutili i capitoli non citati), il secondo è che è una ripetizione di quanto Leonardo dice a Giacomo, scritta in modo più elegante, con una storia che introduce la spiegazione (anche divertente in alcuni punti) ma rimane una ripetizione. Se non fosse stato per una battuta che – seppur nel cuore della notte – mi ha fatto ridere per 10 minuti, considererei questo romanzo nel romanzo un appesantimento: una ripetizione elegante e più dettagliata, ma sempre una ripetizione.

Una cosa che invece apprezzo di Malvaldi è il volersi cimentare con altre storie, altri personaggi, altri stili. Ok: amo (letterariamente, si intende) Massimo e la combriccola di vecchietti, ma non posso chiedere a Malvaldi di scrivere sempre e solo di loro, altrimenti farebbe la fine di Giacomo, si inaridirebbe su quello stereotipo di personaggio e su quello schema di storia. E Marco lo sa benissimo. Infatti sia in Milioni di Milioni sia in Odore di chiuso cambiano i personaggi, anche se la struttura rimane pressoché la stessa (quella del giallo classico). In questo romanzo invece la struttura è diversa, gli intrecci fra personaggi più articolati, la dimensione poliziesca è quasi di contorno. Si riconoscono, certo, alcuni elementi tipici dell’autore (la località in cui è ambientato, la cura quasi maniacale per alcuni dettagli, la causticità di alcuni personaggi), ma si distacca notevolmente dai precedenti.

Bene Marco, ottimo passo avanti. Da perfezionare un po’, forse, ma totalmente apprezzato. Aspetto il prossimo romanzo. E buona lettura a tutti.

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