Milioni di milioni (Marco Malvaldi)

Nuova e bella performance del giallista toscano.

Vi avviso subito: niente “Bar Lume”, niente pinetina, niente nonno Ampelio e la sua banda, niente barrista Massimo. Da bravo autore Malvaldi ha spostato (anche se di poco) geograficamente questa vicenda e ci presenta personaggi nuovi. Ma con i soliti acume e simpatia.

Cosa ci potrebbe essere di più noioso di un paesino di montagna (anche se porta l’aggettivo “Marittimo” nel nome), di circa 800 abitanti (sparsi fra paese e campagne circostanti), abitato da 70enni e 40enni in parti quasi uguali e lontano dalla civiltà tanto che, per arrivarci, serve un’auto robusta e 4×4?

Bene, prendete un paesello simile, dategli un nome (Montesodi Marittimo, appunto), metteteci due giovani ricercatori universitari, un omicidio, ed avrete il nuovo libro di Malvaldi. Che è tutt’altro che noioso! Anzi: seguendo la tradizione de “la signora in giallo” (non so se avete presente il telefilm con Angela Lansbury: dovunque lei vada nell’arco di una giornata si verifica un omicidio, che poi lei risolve brillantemente) Malvaldi ci narra che la ospite di uno dei ricercatori viene uccisa, e che seguendo la logica dei fatti (almeno da quanto dicono i testimoni) l’unico senza un alibi era proprio il ricercatore, e quindi il maggior sospettato. Per fortuna il maresciallo dei carabinieri pensa sia illogico che il ricercatore abbia ucciso la sua padrona di casa, perché proprio il ricercatore ha fatto notare che quella che sembrava una morte naturale era in realtà un omicidio.

Ma andiamo per ordine ed iniziamo a dare un nome ai personaggi. Però vi avviso: vi lascerò a mezzo e vi costringerò a comprare il libro (13 euro il prezzo di copertina) per sapere il finale. Oppure potete comprare me (una torta il mio prezzo) e vi racconterò tutto nei minimi dettagli.

Perché due ricercatori universitari dovrebbero andare in quel paesino sperduto nella campagna toscana? Perché sembra che lì risiedano una serie di persone molto forti (uno di loro, qualche anno prima, aveva vinto la medaglia d’oro alle olimpiadi nella lotta libera). La loro forza pare essere frutto di una mutazione genetica di un determinato gene… e su questo non mi dilungo (ma Malvaldi è molto preciso in questi dettagli). Fatto sta che l’università di Pisa ha mandato sul luogo il dott. Piergiorgio Pazzi (fisiologo del dipartimento di Endocrinologia) e la dott.ssa Margherita Castelli, ricercatrice filologa alla Normale. Insieme dovranno ricostruire il patrimonio genetico e generazionale del paese, l’uno prelevando campioni di sangue alle famiglie (e facendoli analizzare al laboratorio universitario), l’altra indagando nei registri parrocchiali per ricostruire la genealogia degli abitanti.

E qui finisce la parte noiosa e si va al dunque: in una notte di neve, infatti, l’anziana signora che ospita il dott. Pazzi muore. Piergiorgio, al mattino, trova il corpo della donna che sembra addormentato (la donna soffriva di cuore ed aveva una certa età). Ma da buon dottore nota alcuni dettagli che, col supporto del medico del paese (competente ma un po’ restio a trarre le stesse conclusioni del giovane ricercatore), assicurano che la morte non è naturale: qualcuno ha soffocato la vecchietta.

Nella migliore tradizione giallistica l’ambiente è chiuso (la nevicata della notte ha bloccato tutti gli accessi al paese), i sospettati limitati e, ovviamente, ognuno (escluso Piergiorgio) ha un alibi. Le conseguenze logiche sono due: o il dott. Pazzi ha fatto fede al suo cognome ed in un raptus ha ucciso la sua ospite (ma allora perché far notare i segni di una morte violenta, se nessuno se ne era accorto, ed assicurarsi la condanna?), oppure qualcuno dei testimoni ha mentito fornendo un falso alibi a qualcun altro.

Quale sarà la verità? Bè, è logico: Piergiorgio investigherà con acume (e coadiuvato dall’intuito femminile di Margherita) e scoprirà che… E adesso andate in libreria e tirate fuori 13 euri, oppure venite da me con una abbondante fetta di torta, possibilmente cremosa o, in alternativa, cioccolatosa.

Sì, dai, sappiamo come va a finire: l’arguto dottore scopre cosa è successo ed il cattivo, o la cattiva, o i cattivi, vengono arrestati confessando il reato (ed il movente) quando ormai si vedono senza via di uscita (come in tutti i gialli che si rispettino). Ma c’è un altro mistero: a cosa è dovuta la grande forza di alcuni degli abitanti del paese? E come mai solo una parte (solitamente quelli collegati al cognome “Palla”, come il campione olimpico) denota questa forza? I nostri eroi troveranno una spiegazione anche a questo mistero, e ce lo racconteranno davanti ad un aperitivo una volta tornati nella città universitaria.

All’inizio dicevo “niente nonno Ampelio e niente barrista Massimo”. Ci si può aspettare che il romanzo, quindi,si a più noioso se carente della naturale simpatia di tali personaggi. E invece no: Malvaldi ha già dimostrato (in “Odore di chiuso“) di poter spaziare in varie direzioni (geografiche e temporali) e riuscire a portare nei suoi romanzi, in ogni luogo e tempo, la simpatia toscana (ed in particolare della riviera fra Livorno e Pisa). Sicuramente il club dei vecchietti della serie del Bar Lume aggiungeva una marcia in più con le loro battute taglienti, ma tutta l’ironia toscana la ritroviamo anche in questi personaggi, forse più tagliati con l’accetta (soprattutto gli abitanti del paese: ma non perché siano definiti in modo grossolano, quanto piuttosto perché sono loro stessi ruvidi e squadrati come un tronco scolpito a colpi di scure) ma sempre acidi, ruvidi, canzonatori, ispidi… Ma anche acuti, svegli, svelti di lingua nel bene e nel male, rustici nelle maniere e ruspanti nell’amicizia.

Scorre benissimo il libro. Non è neppure tanto grande (meno di 200 pagine), come nella tradizione dell’editore Sellerio che lo pubblica. Lo si legge in poco tempo perché, nonostante qualche digressione scientifica su genetica e genealogia, è molto avvincente. Un ulteriore applauso a Malvaldi, e la speranza di ritrovare ancora i vecchietti del Bar Lume, ma anche di conoscere nuovi personaggi.

Buona lettura.

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