Il vangelo secondo Gesù Cristo (José Saramago)

Saramago ci racconta il suo punto di vista sulla vicenda di Cristo

Partiamo subito con un distinguo: questo libro è un romanzo, non un vangelo “ufficiale” né un apocrifo (uno dei vangeli non riconosciuti dalla Chiesa). E come romanzo va preso.

Sì, diciamo anche, subito, che la Chiesa si è scagliata contro Saramago per questo romanzo, mettendolo – se ho capito bene (scusate ma per mancanza di tempo non ho fatto ricerche approfondite) – all’indice.

Ma cosa c’è di “scandaloso” in questo romanzo? Niente, appunto perché è un romanzo. Un romanzo che tratta la natura umana di Gesù, che lo disegna come uomo, che alla fine – anche – combatte con Dio, quasi un sovversivo, ma che rimane intrappolato in qualcosa di più grande di lui. E diventa, volente o nolente, un mezzo nelle mani di Dio.

La trama la accenno solamente: Saramago si appoggia ad alcuni tratti dei vangeli, ed alla tradizione cristiana, per ricostruire la vicenda della famiglia di Nazareth. Ma con alcuni dettagli diversi, come il fatto che Gesù è primogenito, figlio di Dio (confermato da Dio stesso), ma non figlio unico. La storia è calata nella realtà dell’epoca, con i romani “oppressori” da un lato ed i ribelli dall’altro (tanto che Giuseppe muore, in croce, confuso per un ribelle).

Gesù cresce in un ambiente ostile, in una famiglia “media”, con un padre, Giuseppe, falegname, sì, ma non tanto bravo da avere molte commesse di lavoro; anzi, piuttosto ordinario da tirare a campare a stento. Con una madre, Maria, che ha visto l’angelo annunciarle la nascita di Cristo (no, non l’annunciazione luminosa e angelica di molti quadri, ma quasi una profezia recitata da un finto mendicante, con un dono molto misterioso). Una madre con cui lotta per capire i “segreti” della sua nascita. Una madre con cui, alla fine, rompe i legami perché incredula a quanto lui afferma di sé stesso.

Un Gesù, insomma, figlio di Dio, sì, ma dai pensieri e dalle passioni molto umane: che ama una donna (da cui è amato infinitamente), che lotta per sbarcare il lunario, che si trova incastrato in un gioco molto più grande di lui, la cui trama è intessuta da Dio stesso, e nel quale colui che dovrebbe essere suo nemico, il diavolo, sembra avere interessi in comune con Dio stesso (potremmo proprio dire che – nell’ottica di Saramago – il vantaggio che trae Dio, in questo gioco, si riflette anche sul diavolo). Quel diavolo, oltretutto, con cui Gesù convive per qualche anno, e con cui discute della vita, umana, di tutti i giorni.

Un Gesù, alla fine, combattuto da sensi di colpa: unico sopravvissuto alla strage degli innocenti perpetrata da Erode (quando l’unica vittima doveva esser lui), porta per tutta la vita il peso della vigliaccheria del padre che non ha avvisato gli abitanti di Betlemme ma ha pensato a salvare solo la sua famiglia. Sensi di colpa che si acuiscono quando Dio, durante la spiegazione di cosa ha in mente, gli fa vedere frammenti di futuro: le crociate, i roghi dell’inquisizione, le lotte e le divisioni, l’odio religioso, il settarismo… Tutto accadrà nel suo nome. Ed ecco allora che decide di ribaltare, all’ultimo momento, il progetto di Dio, di non prestarsi più come strumento: se qualcuno deve morire, che muoia lui e basta e non ci siano più carneficine in futuro. Ma quello che non aveva previsto è che Dio prevede tutto… e si accorge troppo tardi di aver giocato perfettamente la parte che Dio si aspetta da lui, anche grazie a qualche “effetto speciale” che Dio stesso mette in gioco all’ultimo istante.

Se l’aspetto esteriore del romanzo sembra essere sacrilego e blasfemo (sembra siano queste le parole usate da una parte del clero, ma anche in questo caso non ho fatto ricerche), mettendo a fuoco solo la figura di Gesù si nota che questa non si discosta molto dall’idea cristiana: la scelta, libera (perché l’ultima scelta la compie Gesù di sua iniziativa, non guidato da nessuno), del proprio estremo sacrificio per la salvezza degli altri. In fondo Gesù, in questo romanzo, sceglie di immolarsi per risparmiare future carneficine, ed anche se non riuscirà ad evitarle, almeno ci ha provato.

Ecco… se c’è un personaggio del romanzo che potrebbe esser considerato “bastardo”, questo è proprio il dio padre di Gesù: disinteressato alle vicende umane (a meno che non rientrino nei suoi piani), molto spiccio (in un punto ordina a Gesù di sbrigarsi a compiere il sacrificio ché non ha tempo da perdere), che tende a volere tutto… Ed il diavolo, in questa ottica, si pone come un contrappeso che riequilibra la bilancia: è colui che tende a far notare all’uomo quanto sia incoerente e a volte sciocco dedicare la propria vita a Dio. E’, praticamente, colui che riporta l’uomo coi piedi per terra. E’ molto curiosa, oltretutto, la figura del pastore che Saramago fa interpretare al diavolo: un pastore di pecore che non sono sue, trovate qua e la, ma che non le vende, non le uccide (escluso casi particolari), non ne sfrutta la lana ma solo un po’ di latte. E’ come un guardiano che si trova lì per caso e cerca di proteggere quel gregge che piano piano si è formato intorno a lui. La stessa figura che nella cristianità è assunta da Gesù, anche se con caratteristiche diverse.

Ma veniamo a noi: innanzi tutto ringrazio Silvia per avermi prestato questo libro. Scommetto che alcuni, che mi seguono da tempo (e che sanno che sono cattolico e, addirittura, catechista), si aspettano una valutazione particolare del libro. E invece non ho niente di particolare da dire. Se qualcuno cerca scandalo, sappia che il libro non mi ha scandalizzato per niente: ricordiamoci che è un romanzo, prima di tutto, e come tale va letto. I messaggi che si trovano nei vari capitoli, poi, ognuno dovrà interpretarli liberamente, come ho fatto io: qualcosa l’ho preso, qualcosa l’ho lasciato lì dov’era, qualcosa mi ha incuriosito, qualcosa mi ha lasciato indifferente. Mi chiedete se ne consiglio la lettura? Sì, certamente. Ma io consiglio la lettura di tutti i libri che uno può trovare (magari, per alcuni, dico che il prezzo è molto superiore a quello che il libro vale, ma qualsiasi libro merita di esser letto).

L’unico ostacolo alla lettura del libro è la forma narrativa, la complessità delle frasi che Saramago ha usato. Vi confesso che mi ci sono volute un po’ di pagine per entrare nel meccanismo narrativo e nella costruzione delle frasi. Non è difficile, ma è pesante, e a volte si riesce ad avanzare di pochissime pagine al giorno. Però una volta preso il via il romanzo scorre tranquillo. Cioè, tranquillo… anche le tematiche trattate non sono leggere e vengono trattate in modo approfondito: insomma, non è un libro leggero. Silvia me lo disse quando me lo prestò: le risposi che dopo aver letto “La montagna incantata” di Mann pensavo di non aver problemi a leggermi questo. Bè… problemi non ne ho avuti, ma mi è toccato partire un po’ a rilento. Come salendo per una montagna: devi rompere il fiato, poi vai avanti che è una meraviglia.

Quasi dimenticavo: visto il periodo estivo qualcuno potrebbe pensare di portarsi questo romanzo sotto l’ombrellone: secondo me lo si legge meglio in solitudine e tranquillità, sulla poltrona di casa.

Buona lettura. 

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