“Se uno legge quello che leggono gli altri, finisce col pensare allo stesso modo.” (cap. terzo)
Iniziamo subito col dire che le edizioni precedenti, in Italia, di questo libro si intitolavano “Tokyo Blues”, ma poi l’editore, anche su spinta dell’autore, ha ripubblicato il libro con il titolo originale: “Norwegian Wood”. E diciamo anche che il titolo è, in realtà, quello di una canzone dei Beatles, a cui si fa riferimento più di una volta nel corso del romanzo.
E il tutto parte proprio dalla canzone: Watanabe è un trentasettenne che è imbarcato su un aereo in atterraggio ad Amburgo. Subito dopo l’atterraggio gli altoparlanti dell’aereo diffondono Norwegian Wood. Ecco che per Watanabe parte un lungo flash back che lo riporta ai tempi dell’università (ultimi anni 60) e agli amori di quei tempi.
“Lo sai che parli in modo strano?”: potremmo definire Watanabe con questa domanda, che più di una persona (soprattutto le ragazze) pongono al giovane studente. Ama leggere, soprattutto “vecchi” autori (i grandi classici – con una predilezione quasi maniacale per “Il grande Gatsby”) e spesso le sue espressioni sono influenzate da quel che legge: cosa che spesso affascina le ragazze. E nella vita di Watanabe, fra tante, due di loro assumono una grande importanza.
Naoko era la ragazza del suo migliore amico. Riservata ma non troppo chiusa in sé, allegra e bella, la sua personalità subisce una tremenda trasformazione quando il suo ragazzo si uccide. Watanabe e Naoko vivono diversamente questa perdita senza senso. Se il primo arriva a teorizzare che la morte non è la fine della vita ma fa parte della vita stessa, la seconda sprofonda in una tristezza feroce. Per qualche anno i due non si vedono, per rincontrarsi, poi, a Tokyo, dove entrambi si erano trasferiti per gli studi universitari.
Se dapprima nasce una complicità fra i due (legata al fatto di sentirsi entrambi soli in una grande città, oltre al fatto di aver amato – in modi diversi – la stessa persona), questa si trasforma, per Watanabe, in un sentimento che, seppur confuso, si potrebbe definire di amore. Naoko lo intriga sempre più, con tutti i sensi: sia perché è una bella ragazza, sia per il suo carattere particolare. Anche se la ragazza tende molto a chiudersi in sé stessa, i due si vedono abbastanza frequentemente e fanno lunghe passeggiate, spesso in silenzio. E anche Naoko inizia a nutrire qualcosa per Watanabe. Però la sera del compleanno di Naoko, quando tutto sembra sbocciare, gli eventi cambiano drasticamente (e qui beccatevi un po’ di suspense…)
Midori, invece, è una ragazza molto più solare ed aperta di Naoko. Anche se ha avuto una vita non facile (scopriremo che suo padre è all’ospedale, morente per la stessa malattia che ha ucciso la moglie), la ragazza è allegra e – almeno apparentemente – spensierata. E nutre un certo affetto quasi da subito per Watanabe. Si incontrano per caso ad uno dei corsi universitari frequentati da entrambi, ed è Midori a notare Watanabe e ad approcciarlo poco dopo in un bar dove stava mangiando.
A Watanabe non dispiace Midori, anzi, la trova una bella ragazza, ma è preso sentimentalmente da Naoko. E poi anche Midori ha un ragazzo… la loro rimane, quindi, solo un’amicizia, anche se Midori fa capire, sempre meno velatamente, di nutrire un affetto sempre maggiore per Watanabe.
Ora… potrei raccontarvi di cosa accade a Naoko, parlarvi di una clinica in montagna, isolata… guada caso molto simile (come ambientazione) a quella raccontata da Mann in “La montagna incantata” (libro che Watanabe sta leggendo, al momento, per l’esame di tedesco).
Potrei anche parlarvi di un pranzo da Midori, con un incendio nelle vicinanze ad animare le cose. Dei segni di affetto che lei mostra a Watanabe, delle storie della sua vita…
Potrei, ma non lo farò. Perché secondo me il libro merita di esser letto e andare oltre nella trama rovinerebbe la lettura di questo romanzo di amore.
Sì, perché di un romanzo di amore si tratta. Atipico, particolare, volendo anche “acerbo”, confusionale, rivoluzionario (nel senso che può rivoluzionare la vita), ma sempre amore. No, non è un romanzo rosa come se ne trovano tanti, né una storia di amore tipica (lui e lei si incontrano, succede qualcosa che li divide, ma alla fine si ritrovano… e vissero felici e contenti). Tutt’altro: per certi aspetti è quasi deprimente e triste. C’è il lieto fine? Quasi: c’è un finale aperto che viene lasciato alla fantasia del lettore. Sta a noi concludere la storia in un modo o nell’altro, l’autore ci lascia carta bianca.
Fra le altre cose: non è un libro consigliato a chi è depresso. L’amico di infanzia di Watanabe (e fidanzato di Naoko) si suicida. Ed altri due personaggi si suicidano… ed un quarto suicidio riguarda un parente di un personaggio principale. Insomma, il romanzo è anche impregnato di depressione e insoddisfazione.
Avevo già avuto occasione di leggere un romanzo di Haruki (Kafka sulla spiaggia): molto più surreale di questo. Ma ho trovato qualche punto comune fra entrambi. In primis la montagna come luogo di riflessione e interiorizzazione prima di tutto. E mi sembra che Watanabe e Kafka (il 15 protagonista dell’altro romanzo) abbiano caratteri simili. Se questo Norwegian Wood è semplice e lineare, quel Kafka sulla spiaggia è complesso e intrecciato. Ma entrambi, alla fine, affascinano.
Ecco, uno dei “difetti” (se possiamo chiamarli tali) di Haruki è la velocità iniziale. Anche questo romanzo non ha la partenza a botto. Se devo essere sincero le prime pagine sembravano un po’ noiose. Però, via via che si va avanti la storia ti prende sempre di più. Insomma: gli ultimi capitoli li ho letti tutti d’un fiato.
Altro “difetto” che mi ha lasciato un po’ sorpreso è legato alla tecnica narrativa dei flash back. La storia inizia con Watanabe grande che vive un flash back della sua giovinezza. Ed il romanzo va vanti in questo modo, con lui adulto che racconta lui giovane, ma senza auto-valutarsi, senza rimpianti. E’ la sua storia nuda e pura, così come l’ha vissuta, ma senza orpelli di giudizio.
Questo flash back, però, sembra non tornare mai alla realtà. Solo in un paio di occasioni si intuisce che è il Watanabe trentenne a parlare, ma per il resto tutto si concentra sul Watanabe ventenne. Ecco: nel finale mi aspettavo un ricucirsi dei due Watanabe… come se il trentenne si accorgesse che l’uomo che è adesso è dovuto soprattutto alla sua vita di allora. O, comunque, qualsiasi cosa che spiegasse cosa ci facesse su quel volo per Amburgo. In un piccolo frangente si intuisce che faccia il giornalista, ma niente lo conferma.
Uno dei punti di forza di Haruki, invece, è che non puoi non entrare in empatia col personaggio. E’ impossibile rimanere indifferenti a Watanabe, ma anche a Naoko e Midori e Reiko, così come mi successe con Kafka nel precedente romanzo. Sono personaggi che, alla fine, ti entrano nel cuore.
Un ultimo consiglio: il pubblico a cui questo libro è dedicato è un pubblico “adulto”. Con questo non intendo “maggiore di 18 anni” a causa di scene particolari (sì, ci sono alcune scene di sesso, ma non possiamo definirlo romanzo erotico). Con adulti intendo lettori che, prima di tutto, hanno già una buona esperienza di lettura e, in secondo luogo, hanno una mente già in parte matura. In altre parole un ragazzo di 14 anni non troverebbe bello questo romanzo, a meno che non sia un divoratore di libri.
Detto questo, vi auguro buona lettura.
P.s.: leggere questo romanzo in un giorno di pioggia, alla luce grigia tipica dei nuvoloni primaverili, con le gocce che ticchettano sul tetto, sotto una coperta calda, ha il suo fascino. Meglio ancora se la lettura è accompagnata dal profumo del legno che brucia nel camino e da un bicchiere di buon whisky.
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