“Sappiamo sempre qual è la verità, quella verità diversa che viene occultata dai ruoli, dalle maschere, dalle circostanze della vita” (cap. 7)
I regali (perché questo libro è stato un regalo) della cugina Ale sono sempre graditi: ormai riesce a stupirmi con autori che non conoscevo e mi aiuta ad ampliare il bagaglio culturale. Questo Natale mi ha portato il libro oggetto di questo post, dell’autore ungherese Márai. Ieri sera, dopo aver girato l’ultima pagina, le ho mandato un messaggio: “ho finito il libro che mi hai regalato: bello tosto…”.
Perché bello tosto? La storia, di per sé, potrebbe essere ridotta a poche righe: due amici di infanzia, che sono cresciuti insieme ed hanno vissuto insieme per tanti anni si separano un giorno, quando succede qualcosa di strano (no, non posso dirvi cosa succede, dovete scoprirlo leggendo il libro). Si ritrovano dopo 41 anni, con domande irrisolte e qualche rancore e durante la cena cercheranno di chiarire cosa è successo.
Ecco… effettivamente la storia non ha bisogno di molti dettagli in più. Ma se leggete il libro troverete una cosa estremamente più complessa della semplificazione che ne ho fatto poco sopra.
Bello tosto, sì, perché è un libro che indaga nell’animo dell’uomo. Tutto ruota intorno all’evento scatenante, avvenuto 41 anni prima. Cosa succede fra i due amici? Perché al termine di una mattina di caccia i due compagni di una vita si separano?
Il Generale e il Capitano (i protagonisti si sono conosciuti presso la scuola militare), Henrick e Konrad, sono amici da quando avevano 10 anni. Il primo ha alle spalle una famiglia ricca, il secondo una famiglia povera (in realtà nobili caduti in disgrazia), ma all’inizio sembra che queste differenze non guastino il loro rapporto. Più grandi, durante il servizio militare a Vienna, vivono nello stesso appartamento. Fanno quasi tutto insieme. Ed è Konrad a presentare al Generale la ragazza che diverrà poi sua moglie. E quando Henrick si sposa Konrad è spesso – quasi tutti i giorni – ospite a casa dell’amico e di sua moglie.
Ma una mattina, durante la caccia, succede qualcosa – no, ho detto che non vi racconto cosa – che fa cambiare il punto di vista del Generale. Il giorno successivo il Capitano è scappato: Henrick voleva alcuni chiarimenti e va a cercarlo a casa ma non lo trova. Vi troverà, però, sua moglie, anche lei corsa a cercare Konrad.
Il Generale capisce, e tutto per lui cambia. D’ora in poi vivrà nel casino di caccia – lontano dal suo castello, dove vive la moglie. Non parlerà più con lei, e continuerà intanto a chiedersi come mai, perché quel gesto, e perché Konrad non ha completato ciò che aveva iniziato. La moglie morirà dopo pochi anni, probabilmente uccisa dal dolore e per il silenzio del marito e per la lontananza dell’amico. Il generale riprende allora possesso del castello ed inizia la lunga attesa.
Sa che l’amico tornerà, lo aspetta per anni, rinnovando ogni giorno nella memoria gli eventi di quella giornata: la battuta di caccia, l’amico che se ne va a metà mattinata senza spiegazioni, la cena insieme a lui e alla moglie, la fuga del giorno dopo. Pensa, il Generale, e collega i fatti, e si costruisce la sua verità, quella verità logicamente inattaccabile ma che manca dei pilastri fondamentali: le motivazioni.
L’amico, il Capitano, torna finalmente al castello. Il Generale fa preparare la sala da pranzo esattamente come l’ultima volta, 41 anni prima. Cura personalmente ogni dettaglio, ricorda i fiori presenti, la disposizione delle sedie, dei piatti, le varie portate. Tutto deve essere esattamente uguale ad allora: perché da lì si deve ripartire, da quell’ultima cena in cui tutti e tre (Henrick, sua moglie e Konrad) sedevano insieme a tavola.
Finisce la cena, i due amici si siedono accanto al camino a fumare. Ed il Generale inizia a raccontare la sua storia, la verità che ha ricostruito. E parla… ragazzi quanto parla… passerà la notte ed il Capitano avrà risposto con pochissime parole alle domande di Henrick, perché questi parla, approfondisce, riporta ogni singolo dettaglio di quel famoso giorno.
E nel discorso del Generale c’è una analisi dell’animo umano, di quelle che possono essere le speranze, del coraggio e della codardia, dell’amicizia… Il cuore del romanzo è proprio il lungo monologo del padrone di casa: nessuna delle risposte di Konrad, infatti, fuga i dubbi o risponde alle domande del Generale. Quello che interessa all’autore è farci comprendere la sua visione dell’uomo attraverso il discorso del vecchio Henrick.
E’ qui che il romanzo si fa tosto: i primi capitoli (che servono soprattutto da introduzione) sono semplici e corti – a volte un briciolo dispersivi (per la mania ai dettagli che, secondo me, ha Márai). Ma quando si arriva al cuore si sente tutta la pesantezza di anni di riflessioni. Ho dovuto rallentare la lettura per poter digerire questi passaggi.
Cosa spinge un uomo all’amicizia? Cosa è l’amicizia? Può essere disinteressata? Come la vede il mondo? E cosa può portare qualcuno a tradire questa amicizia? O forse a scappare per non tradirla? Come si sente l’uomo che ha speso la vita in una amicizia e la vede tradita? E qual è la vendetta, se può esserci vendetta?
Sono tanti interrogativi a cui Márai cerca di dare una risposta per bocca del Generale, attingendo a piene mani da tutta la precedente filosofia del mondo, ma senza disprezzare riflessioni personali. Forse, addirittura, ci mette molto della sua esperienza usando l’amicizia dei due come metafora della propria “amicizia” verso la sua Nazione, fedeltà ed amicizia non ricambiate visto che l’autore si è auto-esiliato come protesta verso uno dei regimi che stritolavano l’Ungheria.
Un romanzo non di facile lettura, ma che aiuta ad indagare il proprio animo. Secondo me bisogna essere dell’umore giusto per apprezzarlo appieno: né troppo spensierati né troppo tristi. Serve una certa concentrazione per poter scorrere le pagine comprendendo bene il significato. Confesso che io ce l’ho fatta al 90%… mi prenderò una occasione per rileggerlo, in futuro, per vedere se catturo anche quel 10% che mi è sfuggito.
A chi consigliare un romanzo simile? Sicuramente non ai neofiti della lettura, perché per loro potrebbe risultare molto pesante. E’ un romanzo che viene apprezzato da chi macina già libri in buona quantità. Va bene per lettori pronti a scavare un po’ nel proprio animo… A me è risultato molto gradito ma, come dicevo prima, io stesso ho avuto qualche piccola difficoltà. Eppure ne ho letti di romanzi “difficili” (dal “Manoscritto” di Potocki alla “Montagna” di Mann…).
A chi vuol provare a leggerlo consiglio, a partire dal capitolo 13, di prenderla con calma: è il capitolo in cui iniziano tutte le riflessioni. Alla fine di quel capitolo si scopre cosa è successo la fatidica mattina, e da li si aprono nuovi dubbi che il Generale esplicita nei capitoli successivi, dopo fiumi di riflessioni a voce alta. I capitoli diventano improvvisamente lunghi, i discorsi del Generale prolissi… io ho dovuto dividere ogni capitolo in almeno due tappe, alcuni in tre. Poi, sicuramente, ci sono lettori molto più in gamba di me che potranno affrontare questi capitoli tutti di un fiato.
Buona lettura.
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