E disse (Erri De Luca)

I “dieci comandamenti”, le “dieci Parole”, accolte da uno straniero che segue il popolo ebraico

Nella sua passione per l’ebraismo (e per la lingua ebraica) Erri De Luca ci porta in un altro dei suoi viaggi nella storia del popolo ebraico, ed in particolare in quel momento dell’esodo che vide la consegna dei 10 comandamenti (come li chiamiamo noi), o meglio delle “dieci parole” (come indicato da una più precisa traduzione).

Tutti li abbiamo presenti, dato che veniamo da una cultura cattolica. Magari non ricordiamo la formulazione precisa o l’ordine insegnato a catechismo, ma tutti sappiamo che esiste un “non rubare”, un “non desiderare”, un “non uccidere”…

Ma De Luca ci riporta all’origine di essi. Certo, un origine un po’ romanzata, con un Mosè che scende dal Sinai (o Hòrev, come è chiamato in ebraico) disidratato, quasi rotolando, mezzo morto… E’ suo fratello che si prende cura di lui, e lui, talmente inebriato dalla divinità, non riesce più a capire o a riconoscere niente (la bibbia stessa dice che il suo volto riluceva quando discese dal monte, e Michelangelo mise in testa al suo Mosè dei coni che dovevano rappresentare questa luce, ma che qualcuno ha scambiato per “corna”).

Ma alla fine Mosè ricorda cosa la divinità ha detto, e pronuncia quelle frasi a voce alta, in fronte a una parete rocciosa. E le parole, così forti e così inossidabili, si scolpiscono nella roccia al suono della sua voce (qualcuno dice addirittura di aver visto il dito di Dio inciderle), e contemporaneamente nel cuore e nella carne (metaforicamente) del popolo che guarda, esterrefatto, il suo leader.

Al di là di come, realisticamente, andarono le cose, Erri prova a descriverci l’origine di queste parole che – purtroppo – nella nostra mentalità sono diventati semplici divieti (noi le prendiamo come “non devi fare questo, non devi fare quello”). Il popolo osserva le parole che si stanno scrivendo, e comprende, e riconosce quando è venuto meno ad esse o capisce il peso che le future generazioni dovranno portare per esse.

10 parole, come le dita delle mani, per tenerle sempre a mente. Come le dita “fanno”, costruiscono, così le dieci parole creano e rinnovano l’uomo. Il ritorno ad una traduzione più vicina all’originale ebraico aiuta anche noi a comprenderle meglio, indipendentemente che crediamo o meno. Anche prendendole semplicemente come “legge” di un popolo (togliendo, cioè, la parte divina ebraica o cattolica) ci accorgiamo di quanto intense e comunque semplici sono. Certo, poi sta a noi accoglierle e viverle, ma come le presenta l’autore ci permette di sentirle più vicine, più nostre, più reali.

Il linguaggio di Erri, purtroppo, è un misto di poesia aulica e di solidità granitica: pur apprezzando il suo stile mi sembra a volte che forzi un po’ le frasi, volendo dare ad esse una poeticità che, invece, viene persa o fraintesa. Ma, ripeto, al di là di questo mi piace il suo stile che ricerca sempre la parola corretta. Non è un Vecchioni (che, se mi seguite da tempo, sapete che apprezzo per come usa le parole). Ma riesce a trovare il verbo o il sostantivo corretto che, in una traduzione da una lingua straniera, può fare molta differenza.

Penso ai cattolici (e a qualche catechista che conosco): questo è un libro che può aiutare a comprendere meglio alcune cose e, soprattutto, può portare una ventata di freschezza su uno dei “calli” dei cattolici (cioè quei comandamenti imparati a mente come le tabelline al punto che diventano frasi vuote). Quindi consiglio la lettura anche ai catechisti… e so già che io lo presterò a qualche catechista.

Ma, come accennato sopra, può essere un buono spunto anche per chi non crede (o crede in un Dio diverso da quello dei cattolici), perché aiuta a capire la storia (anche se romanzata) di un popolo antico e molto particolare.

Dimenticavo: non sono neppure 100 pagine e l’ultimo capitolo è una riflessione dell’autore sul suo “seguire” il popolo d’Israele. E’ scritto grosso e si esaurisce, se non ci si vuol perdere troppo in riflessioni, in poche ore. Certo, sono 10 euro (in verità io l’ho trovato a 8.50 al supermercato)… un prezzo leggermente più basso (8 euro) non avrebbe guastato.

Ultimo avvertimento: chi si approccia per la prima volta a De Luca potrebbe trovare ostico il suo linguaggio, infarcito di termini ebraici (che comunque affianca dal termine italiano), ma non vi scoraggiate al primo tentativo. Se volete, “in nome della madre” è più semplice come linguaggio e tratta sempre di una donna ebrea e del suo popolo…

Buona lettura.

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