“Ti stai avvicinando a una verità metaforica attraverso la realtà? O a una verità reale attraverso una metafora?” (capitolo 31)
Vi è mai capitato che un libro si insinui nel vostro sonno? Questo romanzo mi si è intrufolato nei sogni e si materializzava nel mio mondo onirico anche scombussolandomi un po’. Devo ammettere che la lettura di una parte di romanzo avveniva quasi sempre prima di addormentarmi, e forse è per questo che ha avuto facile accesso al mio subconscio, ma non mi era mai capitato con altri romanzi…
D’altro canto la storia stessa è un ondeggiare fra realtà fisica, mondo metafisico e sogni; fra metafore del mondo reale e verità metaforiche. Ed ognuno dei mondi che tocca è spiegazione o continuazione dell’altro mondo. Cioè: il mondo dei sogni realizza ciò che il subconscio vorrebbe fare ma nel mondo reale non è fatto, ed il mondo reale è stimolo e creazione al mondo onirico.
Ma andiamo alla storia, che – seppur complessa ed intricata – cerco di riassumere brevemente.
Nakata e Kafka (non lo scrittore) sono i personaggi principali di questo romanzo, legati da qualcosa di invisibile ma inesorabile. Attorno a loro altri personaggi, anche se possono essere considerati di “supporto”, aggiungono tasselli alla storia.
Entrambi sono in fuga da qualcosa, entrambi in ricerca di qualcosa. Kafka ha 15 anni, e quello non è neppure il suo vero nome, ma si fa chiamare così nella terra dove viene ospitato dopo la fuga. Nakata, invece, da bambino ha subito uno strano incidente al risveglio del quale era completamente svuotato: tutte le sue cognizioni (anche lo scrivere ed il leggere) erano sparite. L’incidente è avvenuto durante la seconda guerra mondiale (anche se la guerra non c’entra direttamente con l’incidente) ed ora, sessantenne, vive col sussidio del governatore. Entrambi vivono nel quartiere di Nakano in Tokyo.
Kafka fugge da una famiglia spezzata: di sua madre e di sua sorella ha solo un flebile ricordo, una foto ritrovata in un cassetto. Loro se ne sono andate quando lui aveva 4 anni, senza nessuna spiegazione che lui ricordi. E la vita col padre non è stata delle migliori, al punto che il padre ha lanciato una maledizione su di lui: “ucciderai tuo padre e giacerai con tua sorella e tua madre”. Fugge di casa, dalla maledizione, da sé stesso, ma vorrebbe anche ritrovare l’altra metà della famiglia, tanto che immagina Sakura, una ragazza che incontra in viaggio, possa essere sua sorella.
Nakata ha una qualità speciale: riesce a parlare coi gatti. Per questo nel quartiere è conosciuto come il più abile a ritrovare gattini smarriti. Tutte le famiglie che perdono un gatto chiedono a lui e lui chiede ai gatti. Ma un giorno un losco figuro che dice di essere Johnnie Walker (si, quello del whisky) si presenta a lui e gli chiede di essere ucciso. Per convincere l’anziano Johnnie inizia ad uccidere gatti con cui Nakata aveva stretto amicizia (e vi assicuro che la scena è da brivido: Johnnie è tratteggiato alla perfezione come un pazzo sadico). Nakata uccide l’uomo e inizia una fuga che lo porterà negli stessi luoghi dove si trova Kafka.
E qui avviene il primo collegamento: la polizia trova il padre di Kafka ucciso a coltellate, proprio come Nakata aveva ucciso Walker. Dopo l’assassinio Nakata si riposa, sporco di sangue, su una poltrona nella casa dell’omicidio. Ma quando si risveglia è in uno spiazzo in disuso di una vecchia fabbrica, pulito e circondato da gatti che lo vegliano. Sogno o realtà? Nakata non capisce ma è convinto di aver ucciso un uomo e, dopo la sua confessione, non creduta, ad un poliziotto, cerca un passaggio per andare a sud.
Nello stesso tempo Kafka si ritrova, senza sapere come ci è arrivato, nel parco vicino ad un tempio, dove è custodita una pietra speciale (ma Kafka ancora non sa nulla di questa pietra). Si risveglia da uno svenimento, con le mani e la maglietta sporca di sangue. Poco prima aveva mangiato ad un ristorante e stava tornando in albergo e non riesce a capacitarsi di come sia arrivato lì e, meno che meno, come mai sia tutto insanguinato.
Dopo esser stato aiutato da Sakura, si rifugia nella biblioteca Komura in periferia di Takamatsu, città dove era fuggito. Il signor Oshima lo aiuta, prima nascondendolo in una sua proprietà in una foresta lontana dalla città e poi dandogli un lavoro ed una stanza alla biblioteca, in accordo anche con la signora Saeki, direttrice della biblioteca.
La stanza che Kafka usa è la vecchia stanza dove alloggiava, anni prima, il fidanzato della signora Saeki ed ancora ospita un suo ricordo: un quadro con lui sulla spiaggia. Morto violentemente durante le rivolte studentesche, la signora Saeki non riesce a staccarsi da lui ed il suo “fantasma” di ragazza quindicenne continua ad entrare nella stanza durante la notte e a contemplare quel quadro. Anche quel ragazzo si chiamava Kafka, e quel quadro fu l’ispirazione per la signora Saeki, di una canzone bellissima e sofferta.
Anche Nakata si sta avvicinando a Takamatsu, grazie all’aiuto di Hoshino, un camionista che, incuriosito dallo strano modo di parlare e di vivere del vecchio se ne prende sempre più cura. Decide di prendersi un po’ di ferie e di accompagnarlo fino alla fine del suo viaggio.
Nakata non sa dove deve arrivare, sa che deve spostarsi verso sud. Sa che quando arriverà lì capirà che ci è arrivato. Sa anche che deve cercare una pietra, la pietra dell’entrata. Ma non sa come è fatta né dove si trovi. In loro soccorso arriva il colonnello Sanders, personificazione del vecchietto del Kentucky Fried Chicken. È lui a portare Hoshino al santuario e a indicargli quale è la pietra. Sì, è lo stesso santuario dove, pochi giorni prima, si ritrova Kafka insanguinato.
Cosa c’entra la pietra? E perché “dell’entrata”? A cosa conduce?
Nakata, con l’aiuto di Hoshino, riesce ad aprire l’entrata, ma non sa cosa dovrebbe succedere. Però sa che deve cercare un’altra cosa che si trova in Takamatsu. Girovagando per le vie della città il vecchio ed il camionista giungono alla biblioteca Komura. Nakata capisce di dover incontrare la signora Saeki.
Tempo addietro la signora Saeki trovò l’entrata aperta (quella della pietra). Erano momenti di dolore per lei, per la perdita del fidanzato, e cercava in tutti i modi una consolazione. Per questo approfittò dell’entrata e cercò, ma il dolore non passò. Adesso è l’ora di rimettere le cose a posto, le dice Nakata: finito il colloquio fra lei ed il vecchietto la signora Saeki viene trovata morta di infarto.
Kafka (il quindicenne) si era innamorato della signora Saeki, del suo fantasma che ogni notte visitava la stanza dove dormiva, e della signora Saeki “grande”. Sospettava potesse essere sua madre, ma lei non ha mai confermato né smentito.
La polizia cerca Kafka per l’omicidio di suo padre, ed ancora una volta il signor Oshima mette a sua disposizione la casa nel bosco. Durante questa permanenza Kafka decide di affrontare le proprie paure e si addentra nella foresta, metafora del suo io più interno, per conoscere sé stesso. Trova, nella foresta, due soldati, smarriti molti anni prima durante una esercitazione. O meglio: trova una espressione metafisica di quei soldati di cui lui aveva sentito la storia dello smarrimento.
I soldati portano Kafka in una vallata nascosta, dove sono state costruite un po’ di casette che sembrano abitate, anche se nelle vie e nei dintorni non si vede nessuno.
Kafka capisce che è un luogo oltre la dimensione fisica di questo mondo. Si capisce che è il mondo il cui ingresso è stato aperto dalla pietra di Nakata. Kafka ritrova in esso la signora Saeki quindicenne, che gli prepara la cena. Ma anche la signora Saeki grande. O meglio: una rappresentazione metafisica di lei, ormai morta. È proprio lei che spinge Kafka ad uscire prima che sia troppo tardi e per convincerlo gli fa bere una goccia del suo sangue.
Intanto, nella foresta, Johnnie Walker viene attaccato da un corvo, personificazione di una parte dell’io di Kafka. È l’ultima battaglia che il ragazzo deve combattere prima di tornare alla sua città di origine e riprendere possesso della sua vita.
Anche Nakata muore e ad Hoshino rimane l’ultimo compito: richiudere l’entrata e uccidere la bestia che esce dal corpo del vecchio.
Che sia un romanzo surreale penso lo abbiate capito. Ma si tratta di uno stile completamente diverso da altri autori surreali che ho letto (Boris Vian e Scott Adams). In questo forse più di tutti gli altri romanzi da me conosciuti si fa un viaggio fisico come metafora di un viaggio interiore. Kafka è un ragazzo adolescente che sta cercando uno scopo nella vita, che non accetta ciò che il padre rappresenta per lui (sente il peso della maledizione, ma soprattutto sente l’oppressione della sua figura e la mancanza dell’altra metà della famiglia).
Chi sia Nakata non lo sappiamo con esattezza, ma anche lui cerca qualcosa, soprattutto qualcuno: ricerca sé stesso. Come dice un gatto, Nakata è un uomo con metà ombra, e questo non è bene. È trasparente, ed ognuno (come dice lui stesso) può entrare dentro di lui e fargli fare cose che non vorrebbe. Per questo cerca il suo vecchio io, perché quando sarà di nuovo pieno nessuno potrà più fargli uccidere le persone. Cosa sia, poi, la cosa che gli esce dalla bocca quando è morto rimane un mezzo mistero. Io ho immaginato una forma di vita aliena, dato che all’inizio del racconto si parla di un oggetto lucente che si allontanava dalla zona quando il gruppo di ragazzi di cui faceva parte Nakata è svenuto. Ma non ne sono assolutamente sicuro, mi sembra una intromissione nel racconto che è basato, a mio avviso, sul rapporto fra l’io esterno e l’io interno ed un alieno farebbe la figura di un maiale in un gregge di pecore. L’altro sospetto è che la cosa sia una manifestazione fisica di Johnnie Walker.
Una cosa mi sembra di avere intuito: il sangue è fondamentale nella storia. Nakata bambino, in gita, è colui che ritrova i fazzoletti insanguinati con cui la maestra che accompagnava il gruppo aveva tamponato un flusso mestruale fuori ciclo e particolarmente violento.
Il sangue di Johnnie Walker fa perdere a Nakata la possibilità di parlare con i gatti. Lo stesso sangue, che viene proiettato (non si sa in che modo) sulle mani e sulla maglietta di Kafka convincono il quindicenne prima a farsi aiutare da Sakura e poi a confidarsi col signor Oshima. Ed infine la goccia di sangue che la defunta signora Saeki fa bere a Kafka prima di dargli l’addio è quella che spinge il ragazzo ad uscire dal limbo prima che l’entrata venga nuovamente chiusa.
Altro punto fermo è il valore della cultura. Kafka legge moltissimo ed il signor Oshima usa, per rafforzare le sue ipotesi o spiegazioni, citazioni a molti testi classici. Ed anche il camionista Hoshino avverte un cambiamento grazie alla musica classica. L’invito è sicuramente ad accrescere la propria cultura, anche se questo non ti dirà mai chi sei veramente. Per saperlo devi scendere nei recessi della tua anima, avere il coraggio di affrontare il labirinto dove si nasconde il tuo io più vero: è questo che simboleggia la foresta. Lo spiega, inoltre, il signor Oshima a Kafka quando descrive l’origine del concetto di labirinto: i primi labirinti erano metafora dell’intrico di apparato digerente dell’uomo.
Anche il sesso fa una parte da leone nel racconto. No, non si tratta di un racconto pornografico ma le prime esperienze sessuali di Kafka rappresentano una crescita (con i suoi pregi ed i suoi difetti) del personaggio.
Il libro non è facile e non me la sento di consigliarlo a tutti, ma solo a coloro che hanno già masticato qualche libro di spessore. Certo, ognuno può provare a leggerlo, e probabilmente troverebbe anche altri significati che io non ho saputo scorgere, ma rimango dell’idea che come libro sia pesante. Come ho detto all’inizio è riuscito anche ad intrufolarsi nei miei sogni, e questa è una sensazione abbastanza strana per me.
Sicuramente, però, racchiude una poesia ed una prosa descrittiva molto diversa da quelle occidentali a cui siamo abituati. C’entra anche la cultura dell’autore, che si esprime frequentemente per immagini piuttosto che per concetti (e per questo, forse, si capisce come mai alcuni concetti, nel libro, si trasformano in personaggi strani, come il Colonnello Sanders).
Se volete provare a leggerlo non vi consiglio di portarlo sotto l’ombrellone perché tende a far intristire. E, ripeto, la scena di Johnnie Walker che uccide i gatti per costringere Nakata ad impugnare il coltello e trapassarlo è molto pesante…
Comunque sia, se volete cimentarvi con questo libro, posso dirvi che ne vale la pena. Solo consiglio a chi lo vuole affrontare di fare un po’ di esercizio prima.
In tutti i casi: buona lettura.
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