Nel mare ci sono i coccodrilli : storia vera di Enaiatollah Akbari (Fabio Geda)

“- …A me interessa quello che è successo. La signora è importante per quello che ha fatto. Non importa il suo nome. Non importa come era la sua casa. Lei è chiunque.
– In che senso chiunque?
– Chiunque si comporti così

Le realtà di povertà e di fuga verso un mondo migliore, in questi ultimi tempi, mi stanno colpendo sempre più. Non per niente mi sono letto alcuni libri, ultimamente, che raccontavano storie di ragazzi in fuga verso una speranza. Gli ultimi due in ordine cronologico: “Il fabbricante di sogni” e “Io, Nojud, dieci anni, divorziata”.

Di libri che raccontano storie simili ce ne sono tanti: forse sarò un po’ cinico ma qualcuno credo voglia sfruttare il filone, anche se, in fondo in fondo, portare alla luce queste storie fa sempre bene.

Il libro a cui è dedicato questo post mi ha colpito – non ricordo quando né come – perché parlava della fuga di un bambino di (circa) 10 anni che adesso (oltre 20 anni) è ospite in Italia (rifugiato politico) ed ha passato mille peripezie per arrivarci, senza – all’inizio – neppure sapere dove era l’Italia e se si sarebbe fermato lì.

La storia inizia con l’abbandono di Enaiatollah: la madre porta il figlio in Pakistan perché in Afghanistan, dove al potere sono i talebani, la vita per loro – di etnia hazara (ricordate “il cacciatore di aquiloni”?) – è diventata difficile, quasi impossibile. Sono trattati come schiavi, le scuole vengono chiuse perché (dice un talebano) “non rispettano il volere di Dio”. Chi ha seguito un po’ di telegiornali ed un po’ di notizie in questi ultimi anni sa che si sta parlando di cose realmente accadute.

Enaiatollah, quindi, è lasciato solo a sé stesso in Pakistan: inizia la sua nuova vita lavorando al samavat (per capirci: più o meno un nostro ostello) dove la madre lo ha lasciato. Lavora sodo ed è curioso: chiede, domanda, ottiene risposte. Cerca la compagnia della sua etnia e degli afgani in generale. Fra varie vicissitudini cambia lavoro, viene rimpatriato più volte in Afghanistan e subito riportato in Pakistan da trafficanti di uomini. Finché decide che anche il Pakistan sta diventando pericoloso, anche a causa dei soprusi della polizia locale.

Tenta un nuovo viaggio: in Iran, ma anche li non si sente a casa. Dopo un po’ vuol di nuovo cambiare zona e trova un passaggio per la Turchia. Cresce in fretta il ragazzo: si fa furbo ma rimane anche fondamentalmente onesto, si guadagna da vivere col lavoro e col sudore. Approda in Turchia, poi in Grecia (dove dice di aver lavorato, in nero, alla costruzione di strutture per le olimpiadi del 2004) e quindi arriva in Italia, dove finalmente trova un po’ di serenità e lo sente come un luogo che può chiamare casa.

In Italia, assistito da alcune persone, ottiene lo status di rifugiato politico e tuttora è nel nostro Paese. E’ comparso in alcune trasmissioni (per esempio a “che tempo che fa” nell’occasione dell’uscita del libro che racconta al sua storia – you tube / sito rai.it).

La storia invito a leggerla, non la commento.

Posso dire qualcosa su come è scritta: è un racconto che Fabio Geda rimette insieme dalle testimonianze di Enaiatollah: si sente che non è in “presa diretta”, che Fabio ci ha messo un minimo di mani, ma lascia comunque trasparire tutte le sensazioni del ragazzo. E’ un racconto a posteriori, col senno di poi: l’hazara si è accorto di quanta incoscienza gli è servita per arrivare in Italia, ma non la rimpiange. Ha perso amici e compagni di viaggio: possiamo dire che la morte è stata sua compagna di viaggio e in qualche passaggio sembra che sia sia formato una specie di “callo” che protegge Enaiatollah dal dolore per la scomparsa dei suoi compagni, ma il semplice fatto di averli voluti ricordare nel libro significa che rimangono nel suo cuore.

Per la complessità delle vicende narrate e della situazione che le ha scatenate, sembra quasi che la storia sia raccontata in tono banale. Credo sia semplicemente una scelta di mantenere l’essenziale. Enaiatollah dice più volte a Fabio (sono riportati alcuni dialoghi, in corsivo, nel libro) che non sono importanti le cose o i nomi, ma i gesti delle persone, come la signora greca che lo ha aiutato a Mitilene o le persone in Italia.

Come dicevo all’inizio, anche se a volte – scusate il cinismo – mi sembra che ci sia gente che vuol “guadagnare” su queste storie (non mi riferisco né a Fabio, autore del libro, né all’editore, ma semplicemente al fatto che sugli scaffali delle librerie vedo molti libri simili), credo sia importante che queste storie vengano fuori. Primo perché così ci rendiamo conto di alcune realtà che a noi arrivano MOLTO smorzate attraverso i notiziari ed i giornali. Secondo perché ci ricordano anche la nostra storia: quando i nostri antenati emigravano (fortunatamente per loro in modi più semplici) per cercare speranza, quella speranza che oggi permette a noi di vivere discretamente bene.

Quella di Enaiatollah è una storia di coraggio e incoscienza, di ricerca e di speranza. Una storia in cui il lieto fine si esprime con la parola “casa”, non tanto nel senso di “mattoni”, ma come luogo dove ci si sente accettati e si può vivere sereni. Benvenuto in Italia, Enaiatollah: spero tu stia bene e possa aiutarci a combattere l’ignoranza nel nostro paese verso le vicende del tuo popolo, e l’ignoranza in cui il tuo popolo è tenuto da coloro che comandano, così che tutti possano scoprire che esiste una speranza.

Consiglierei la lettura alle giovani generazioni, almeno ai ragazzi che hanno sete di conoscere come va il mondo.

Buona lettura.

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