“Qualcosa deve restare. Le sue parole, almeno, non sono morte.”
“Le sue parole resteranno” dissi.
Prendiamo un uomo che ha voluto girare il mondo, un marinaio che insieme a pochi compagni si trova su uno yawl (imbarcazione a due alberi) in attesa che il riflusso li porti via dal Tamigi e li faccia entrare in mare aperto. Prendiamo il crepuscolo che cede sempre più alla notte. Diciamo che per riempire l’attesa si trova una storia da raccontare, ed ecco l’inizio di “Cuore di tenebra”.
Marlow è colui che racconta, ed è anche il protagonista della storia. Una storia di quando era più giovane, di quando – bambino – Marlow sognava di conoscere un territorio inesplorato, nel cuore dell’Africa. Sogno che realizzerà quando sarà più grande, grazie alla colonizzazione di quei territori da parte della “Compagnia”.
La “Compagnia” aveva mandato in africa diversi agenti col compito di colonizzare la zona, addirittura di studiare sistemi di “civilizzazione” dei popoli. Ben sappiamo, nella realtà, come la storia sia andata avanti, e ben descrive, Conrad, la faccenda: sfruttamento degli indigeni come schiavi (venivano pagati con perline, fili di rame, e roba simile) e per accedere alle grandi risorse di avorio presenti sul territorio.
Marlov, grazie all’interessamento di una zia, riesce ad ottenere il comando di un vapore che solca uno dei fiumi che dalla costa si spingono verso la parte più centrale dell’Africa. Quasi dimenticavo: nel racconto non viene mai specificata la zona dove si svolge la vicenda, ma nell’introduzione viene indicata come l’ex Congo Belga (ed il fiume navigato da Marlow si pensa sia il Congo).
Mentre viaggia, per mare e per terra, per prendere possesso del ponte di comando a lui riservato, si scontra con alcune assurdità: una nave che cannoneggia il boschetto sulla riva, perché pieno di “ribelli”; una specie di lazzaretto, un boschetto dove gli indigeni si rifugiano, feriti o malati, aspettando la morte. Ed incontra anche i “pellegrini”: persone “civili” (anche se il termine – poi si scoprirà – è molto inadatto) che si stanno recando presso le stazioni sulla costa (o nell’interno) per vari motivi: alcuni come soldati, altri come agenti della Compagnia, altri per fare propriamente affari.
Ed il contrasto fra come la pensa Marlow e come, invece, vedono quel mondo i pellegrini (e la Compagnia) è già chiaro. Seppur intimorito dal colore nero della pelle degli indigeni e dalle loro usanze, il giovane protagonista vede in loro delle persone (seppur ancora un po’ condizionato dal pensiero occidentale dell’epoca). Gli altri li trattano come “animali” secondo il loro personale metro di civiltà (cioè: se sei come me sei civile, sennò sei un animale da sfruttare).
E si trova, suo malgrado, invischiato in complotti e gelosie: gli “agenti” della compagnia non vedono di buon occhio Kurtz, personaggio mitico di cui Marlow sente parlare già durante il viaggio di avvicinamento. Questo individuo sembra esser riuscito a raggranellare più avorio di quanto abbiano fatto i suoi “colleghi” tutti insieme. Ed ovviamente gli spetterà un’alta carica nella Compagnia appena torna. Se torna.
Sembra che sia malato, Kurtz, e sembra che l’unico modo per raggiungerlo sia col vapore al cui comando si trova Marlow. Peccato che il vapore sia danneggiato: in attesa di Marlow (il vecchio capitano se n’era andato) qualcuno aveva provato a guidarlo facendolo arenare e quasi affondare.
Ci vogliono settimane per riparare il vapore e renderlo di nuovo navigabile. Ed in quelle settimane Marlow, ospite della stazione più a valle – sembra quasi un punto di scambio lungo la via per la costa – conosce più a fondo le persone che lo ospitano (agenti e direttore della stazione) e si accorge della gelosia e delle cattive intenzioni verso Kurtz: quasi come avessero volutamente ritardato la partenza del battello per fare in modo che della persona rimanesse solo l’eco del mito e non colui che lo generava.
Finalmente riescono a partire e a raggiungere Kurtz. Nel tragitto, però, vengono attaccati da un gruppo di indigeni che – qualcuno spiegherà poi – avevano paura che loro fossero lì per portarvi via Kurtz stesso.
La stazione dove abita Kurtz è circondata da indigeni: si era costruito una specie di regno (anche con la violenza e la repressione) dove era amato e osannato. I pellegrini riescono a raggiungerlo sul suo letto e a portarlo con loro (grazie, però, a Kurtz stesso che dice ai suoi di non agire contro chi lo sta portando via).
Marlow rimane affascinato dalla voce e dialettica di quest’uomo: anche se la malattia non permetteva a Kurtz di ergersi in piedi, la potenza della sua voce catturò il giovane marinaio. E fu l’ultimo a parlargli nel viaggio di ritorno, l’ultimo ed unico ad ascoltare le sue riflessioni ed il suo grido finale: “Che orrore! Che orrore!”
Sono queste parole che, rimescolando le esperienze finora vissute di Marlow, danno un senso ai sui pensieri. Anche se non esplicitamente rivolte a quanto Kurtz aveva compiuto in africa, ci immaginiamo che si riferiscano proprio all’intera situazione di quel continente, allo sfruttamento degli indigeni ed alla colonizzazione. Un orrore che Marlow nasconde alla fidanzata di Kuntz quando va a trovarla, mesi dopo il suo viaggio.
Ed il centro dell’opera sembra essere proprio questo: lo conferma anche l’introduzione (che, però, ho letto dopo): il romanzo vuole essere una denuncia sociale sul colonialismo e lo sfruttamento che vede l’Europa al centro del mondo che si spartisce il resto dei continenti emersi. Noi sappiamo, ad anni di distanza, come è andata a finire: territori ricchissimi di materie prime ma dove la gente muore di fame. Ma non è questo il blog giusto per fare riflessioni sociali.
L’esperienza di lettura di Conrad è tosta, almeno per me, perché a volte mi impone di rileggere qualche passaggio. Il racconto che fa Marlow non è lineare: si scoprono alcune carte che temporalmente si dovrebbero vedere dopo, fa anticipazioni di quello che succederà. Ma non è tanto questo che mi ferma, quanto la potenza espressiva, il racchiudere in poche parole il risultato di riflessioni di una vita.
Lo confesso: Conrad è uno di quegli autori che mi fa andare a rilento, ma al tempo stesso uno di quelli che più lascia alla mia anima e al mio pensiero. Non sono assolutamente bravo a scrivere (neanche un milionesimo di come è lui) e quindi difficilmente riuscirò a far percepire questa mia sensazione, ma una lettura di un romanzo di Conrad, finora, ti lascia qualche residuo che stai lì a rimasticare per un po’… Cosa che mi è successa, per esempio, anche con Melville ma che mi succede in tono molto minore (nonostante ami i suoi romanzi) con Pennac.
Il racconto è solo di 120 pagine: ho letto romanzi (dal contenuto più leggero) di 300 pagine in due giorni, questo l’ho letto in 4 settimane… C’è da dire, però, che questa edizione ha il testo originale (in inglese) a fronte ed ogni tanto mi dilettavo a leggerlo nella sua lingua madre, ma purtroppo il mio inglese non è così buono da permettermi di comprendere tutte le parole (e per questo c’è il dizionario) e le sfumature (e per questo avevo solo la traduzione in italiano ad aiutarmi). Però anche questo passare dalla versione italiana a quella inglese mi ha fatto “consumare” tempo (sì, preferisco “consumare” piuttosto che “perdere”, perché in realtà non lo considero tempo perso).
Inutile consigliare la lettura a chi ha già conosciuto Conrad: è uno dei suoi classici più diffusi e quindi l’avrete già letto. A chi, invece, si avvicina alla letteratura inglese dico che questo romanzo non può mancare nella biblioteca (Edizione Oscar Mondadori trovata al supermercato a meno di 8 euro… spesa più che sostenibile). A chi si avvia, invece, alla letteratura in generale dico che questa opera potrebbe risultare un po’ pesante: per fare un parallelo con la cucina potrebbe esser paragonato ad uno di quei sapori forti a cui si deve fare un po’ la bocca prima di poterne mangiare grosse quantità…
A tutti auguro, comunque, buona lettura.
P.S.: se volete scaricare gratuitamente l’ebook di Cuore di tenebra potete farlo da questo link (il link al PDF scaricabile è in fondo alla recensione): http://www.booksandbooks.it/e-books/46-cuore-di-tenebra-joseph-conrad-ebook-e-recensione.html
Questo blog si serve di cookie tecnici per l'erogazione dei servizi e ospita cookie di profilazione di terze parti, utilizzati per la personalizzazione degli annunci pubblicitari. Se vuoi saperne di più a riguardo, compreso come cancellarli e/o bloccarli, accedi alla pagina Cookie Policy per visionare l'informativa completa, altrimenti clicca su "OK" per accettarli esplicitamente. Se prosegui nella navigazione sul sito acconsenti tacitamente al loro uso. Maggiori info
Questo sito utilizza i cookie per fonire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o clicchi su "Accetta" permetti al loro utilizzo.