Storia di una piccola bambina col coraggio di una grande donna
Quest’anno mi è presa così… sto leggendo storie (vere) di bambini, come quella di Iqbal Masih raccontata nel libro “Il fabbricante di sogni”, storie piene di tristezza, ma che aprono le porte della speranza, storie che spesso fanno arrabbiare ed indignare riuscendo, qualche volta, a cambiare il mondo.
Nojoud è una bambina yemenita, di “circa” 10 anni. In verità neppure lei sa la sua età precisa né il giorno del suo compleanno. Nata in un villaggio sperduto dello Yemen, sua madre l’ha partorita in casa così come ha fatto per gli altri fratelli e sorelle (in tutto più di 15).
Appena possibile Nojoud dà una mano in casa, come è normale per le bambine, ma riesce comunque anche a giocare con gli altri bambini nel villaggio. Finché un giorno, a causa di una lite del padre con altri componenti del villaggio, la famiglia si deve trasferire in fretta e furia.
Arrivano nella capitale, San’a, ed inizia una nuova vita. A causa della povertà – e della impossibilità del padre a mantenere un lavoro fisso – i bambini sono costretti ad elemosinare qualcosa o a vendere gomme e caramelle ai semafori delle strade.
Ma il vero cambiamento per Nojoud avviene quando suo padre le comunica che l’ha promessa sposa ad un uomo di oltre 30 anni, originario del vecchio villaggio. Peccato che Nojoud abbia solo 10 anni. Anzi, forse neppure quelli.
Abbandonata la scuola ed indossato il neqab (il velo che le copre tutto il volto escluso gli occhi – perché d’ora in poi solo lo sposo potrà vedere il volto della donna) Nojoud deve seguire il marito fino al vecchio villaggio, dove la suocera ed i parenti li attendono.
Al trauma del distacco dalla famiglia si aggiungono traumi fisici e psicologici che marcano con segni indelebili la piccola.
Fortunatamente il marito acconsente a recarsi a San’a per qualche giorno, così Nojoud può tornare in famiglia e chiedere aiuto al padre. Ma lui non vuol saperne: dice che ne va dell’onore della famiglia. Neppure la madre può aiutarla, perché comunque le decisioni le prendono gli uomini di famiglia ed è impossibile andare contro di loro.
Ma Nojoud non demorde. Brutalizzata nel fisico e nell’animo è decisa a chiedere aiuto a qualcuno e alla fine viene consigliata ad andare in tribunale per chiedere ad un giudice il divorzio.
Nella sua innocenza non si aspettava assolutamente tutto quello che il suo piccolo gesto ha scatenato. Accolta con cordialità da un giudice, riceve il supporto di altri 2 giudici e dell’avvocata Shada. Ma una volta che la storia varca i confini dello Yemen molte associazioni femminili e di tutela dei diritti dei bambini si mobilitano e Nojoud ottiene ciò che sperava: il divorzio dal suo brutale marito.
Questa non è una storia di fantasia, né si svolge in un tempo remoto. Questi fatti si sono svolti nel 2008 e anche la stampa italiana ne ha parlato (ho fatto una ricerca su google news). Certo, nel libro la storia è stata un attimo romanzata e si nota la mano di un “adulto” (presumo la stessa Delphine Minoui che ha redatto l’introduzione e l’epilogo). Nell’epilogo viene spiegato che i diritti di autore spettano comunque completamente a Nojoud, così che possa studiare e diventare un’avvocata come Shada.
La storia di Nojoud ha fatto il giro del mondo, ma soprattutto ha dato il coraggio ad altre ragazze yemenite di raccontare le loro storie, molto simili a quella di Nojoud. Se ci pensiamo, però, non è diversa dalle storie dei nostri avi: fino a meno di un secolo fa anche in Italia succedevano cose simili. Nello Yemen tribale questa è una tradizione che ancora vive per due motivi: la predominanza maschile (il capo famiglia ha il diritto di disporre dei figli come crede) e l’ignoranza. La stessa ignoranza che si trova in molti altri casi (come nella storia di Iqbal linkata all’inizio).
L’ignoranza è una brutta bestia, e purtroppo viene spesso alimentata per poter controllare la gente. Finché non verranno messi in pratica programmi globali di scolarizzazione ci troveremo sempre di fronte a storie come questa, o vicende di sfruttamento.
Sono però convinto di un’altra cosa: solo le donne potranno salvare il mondo. Magari non da sole, ma solo loro potranno, con piccoli e grandi gesti, trasformarlo piano piano. Come ha fatto Nojoud che con il suo coraggio (anche se accompagnato da una certa incoscienza) ha aperto una “porta” attraverso cui sono passate già altre ragazze (come raccontato nei capitoli finali del libro).
Vi confesso che ho comprato due copie del libro: una l’ho finita di leggere ieri e l’altra l’ho messa fra i regali di Natale. Perché penso che siano storie da conoscere, così che non si ripetano più.
Mentre vi invito alla lettura di questa storia, vi auguro un magnifico 2010.
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Bellissimo libro!!!!
Come dici tu è un po' impomatato, ma il succo è chiaro!
Ed è bello leggere che anche in posti ameni come quelli ci sono persone coraggiose che non guardano in faccia nessuno, pur avendo la consapevolezza che da quelle parti non hanno alcun potere nè tanto meno diritti. Figuriamoci poi la sorpresa nel sentire che la persona in questione in questo caso è una bambina, manco troppo conscia di ciò che le accade intorno nè dell'immenso passo avanti che ha fatto in quell'angolo del mondo così permettendo di aprire la strada a molte altre donne in difficoltà.
Scritto in maniera molto semplice e con toni molto pacati, ma con una storia di fondo che lascia le orme da sola!
Consigliatissimo!!!
[…] Le realtà di povertà e di fuga verso un mondo migliore, in questi ultimi tempi, mi stanno colpendo sempre più. Non per niente mi sono letto alcuni libri, ultimamente, che raccontavano storie di ragazzi in fuga verso una speranza. Gli ultimi due in ordine cronologico: “Il fabbricante di sogni” e “Io, Nojud, dieci anni, divorziata”. […]