Il fabbricante di sogni (Andrew Crofts)

“Ma se tutti erano contro la schiavitù, come mai non era stata ancora abolita? Come mai gente come il suo padrone poteva impunemente tenere imprigionati tutti quei bambini?” (cap. 13)

Conoscevo già – anche se molto a sommi capi – la storia di Iqbal Masih: un bambino che ha avuto il coraggio di ribellarsi al padrone che lo aveva “acquistato” come schiavo per produrre tappeti.

Si tratta di una storia vera, forse un po’ romanzata ma vera, vissuta. Lo scrittore Andrew Crofts è un “gost writer” (vedi sito) che ha collaborato a tanti libri ed ha dato voce a questo bambino che ha cambiato la storia del Pakistan e – magari senza che noi ce ne accorgessimo – anche la nostra storia. Il titolo originale del libro è “The Little Hero” (il piccolo eroe). Per l’Italia è pubblicato da edizioni Piemme.

Più che raccontarvi la storia narrata nel libro, vi do alcune informazioni. In particolare ho ricercato alcune tracce della realtà della storia su Internet. Non che non credessi vera la storia, ma perché credo che sia importante essere pienamente consapevoli che quello che è stato raccontato è realmente accaduto.

Iniziamo dal protagonista: Iqbal Masih (vedi Wikipedia) è nato nel 1982 a Muridke, in Pakistan. A 4 anni ha iniziato a fabbricare tappeti: un fratellastro aveva bisogno di soldi per la dote per il suo matrimonio: chiede un prestito impegnando i fratellastri (Iqbal e Patras) con il padrone di una delle tante fabbriche di pregiatissimi tappeti pakistani. E’ costretto a lavorare, Iqbal, come tutti gli altri bambini, per molte ore al giorno, in condizioni disumane. Dopo un primo tentativo di fuga viene addirittura incatenato al telaio (dopo esser stato picchiato e tenuto in punizione per alcuni giorni). L’ignoranza del bambino stesso, ma anche della madre, è la causa principale dell’accettazione di questo stato di cose. Ma Iqbal non ci sta: nonostante la prima fuga fosse fallita (nel romanzo – e molto probabilmente la cosa è vera – è proprio un ufficiale di polizia che riporta Iqbal al “padrone” in cambio di una bustarella) ci riprova e riesce di nuovo a scappare. Trova Ehsan Khan, attivista e fondatore del Bonded Labour Liberation Front (organizzazione non governativa) che lo aiuta a ricostruirsi la vita che meritava. L’organizzazione permette ad Iqbal di studiare e appena diradate le nebbie dell’ignoranza, capisce che può aiutare tanti bambini che si trovano nella sua precedente condizione. Inizia ad essere parte attiva dell’organizzazione e a liberare molti bambini diventando “famoso” fino a ricevere il premio Reebok Human Right Award.

Il Bonded Labour Liberation Front (BLLF) sembra essere una organizzazione di origine indiana: è menzionato in questa pagina del sito del Child Rights Information Network, un sito che elenca le organizzazioni che si occupano dei diritti dei bambini. Sul BLLF pakistano ho trovato solo questa pagina, dove si nota una coincidenza particolare: l’email a cui contattarli è intestata a “Fatima”. Nel libro la figlia della maestra di Iqbal si chiama proprio Fatima.

Il Reebok Human Right Award è veramente un premio che l’azienda (conosciuta per la fabbricazione di articoli sportivi) assegna a personaggi (sotto i 30 anni) che operano per i diritti umani con mezzi non violenti. Oltre alle info su Wikipedia potete controllare il sito del premio, con la motivazione dell’onorificenza assegnato nel 1994 a Iqbal e un video che presente l’azione del bambino.

Tornando alla storia di Iqbal: il libro ci racconta che a causa del suo attivismo molte fabbriche di tappeti chiudono o non riescono più ad essere “competitive”. Prima con minacce scritte, poi cercando di screditare – a livello internazionale – Iqbal, l’associazione di produttori di tappeti passa al “contrattacco”. Ma una sera di Pasqua, quando Iqbal torna, da solo, dai suoi parenti a Muridke, un assassino lo uccide con una fucilata. Il libro parla, appunto, di una vendetta dei fabbricanti di tappeti. Non è una versione ufficiale: l’autore lo precisa in una postfazione. La polizia accusa un contadino, ma in pochi sono convinti da questa versione. Ho trovato una pagina in internet: una specie di articolo giornalistico, dove si parla di questo omicidio raccontando sia la versione ufficiale sia i sospetti sui fabbricanti di tappeti. Un altro articolo giornalistico sulla vicenda l’ho trovato sull’indipendent – sezione mondo.

Lo so: più che parlare del libro ho scritto una piccola indagine. Però credo di doverlo ad Iqbal. Quasi 10 anni fa sentii per la prima volta il suo nome: stavamo organizzando delle attività per i ragazzi dell’Azione Cattolica e non ricordo chi tirò fuori la storia di questo ragazzo, ma mi colpì ed il suo nome mi è rimasto sempre impresso. Quando ho visto il libro l’ho acquistato senza nemmeno pensarci.

Se devo essere sincero lo stile di scrittura non è granché: assomiglia molto ad un articolo giornalistico e non approfondisce più di tanto le sensazioni delle persone. A volte è addirittura un po’ sbrigativo. Credo però l’intento fosse proprio questo: mostrare la vita di Iqbal ed il suo impegno senza approfondire la sua personalità. In fondo è impossibile – adesso – parlare con lui e immaginare i suoi pensieri più profondi, descrivere le sue paure e le sue gioie sarebbe un azzardo: qualcosa lo si può scrivere (e l’autore l’ha fatto) ma è troppo rischioso immaginare la sua anima.

Leggetelo, regalatelo, fate girare questo libro. Le cose, ora, sono già molto cambiate rispetto a prima (più attenzione da parte di acquirenti di tappeti e di altri articoli prodotti in paesi poveri) ma c’è ancora moltissimo da fare.

Buona lettura. E buona visione: nel 1998 Cinzia Th Torrini ha girato un film sulla storia di Iqbal.

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