La morte a Venezia (Thomas Mann)

Storia di un uomo che si lascia scivolare nelle braccia di Eros

Ho ripreso in mano il libro dei racconti brevi di Mann, quello dove ho letto Tristano e Tonio Kroger (vedi post precedente) e mi sono dedicato a “La morte a Venezia”, titolo che negli ultimi anni ho trovato sempre più frequentemente fra le mie letture (per citarne solo uno: Pennac richiama il titolo di questo racconto nel suo ciclo Malaussene).

La storia è breve (il racconto è circa 60 pagine diviso in 5 capitoli): un poeta e scrittore tedesco (Gustav Aschenbach), volendo prendersi un periodo di pausa, si reca a Venezia. Lì incontra una famiglia polacca e viene attratto dalla bellezza di Tadzio, il più piccolo dei figli della famiglia. Se all’inizio Gustav si inebria dell’ideale di bellezza materializzato in quel ragazzo, piano piano il rapporto si trasforma in “amore” (l’ho messo fra parentesi perché serve una spiegazione…) per concludere in pederastia (nel vecchio significato greco, che è diverso dalla pedofilia – ma non per questo accettabile). Fino alla morte del poeta causata da una epidemia di colera asiatico (approfondimento su wikipedia).

Raccontata così sembra una storia di pedofilia. Ed infatti sono rimasto un po’ di stucco quando la passione di Aschenbach per Tadzio iniziava a trasparire.

Ma classificarla come storia di pedofilia non è – secondo me – corretto. Sì, l’evoluzione della passione di Aschenbach per il giovane arriva anche a momenti di follia: l’autore stesso fa dire al protagonista che alcuni suoi atteggiamenti sono sconvenienti.

Quello, però, che mi piacerebbe mettere in risalto non è tanto il rapporto Gustav – Tadzio (che, fisicamente, si limita solo a degli sguardi) ma piuttosto la trasformazione del protagonista, cosa a cui puntava, credo, Mann nello scrivere il racconto.

Achenbach è un perfezionista: ha sudato le famose sette camice per arrivare alla fama. I suoi scritti tendono alla perfezione nella forma: non si accontenta di buon contenuto ma vuol presentarlo anche bene. Anche la poesia diventa sentimento imbrigliato in forme e stili ben precisi (in questo richiama un po’ Tonio Kroger). Se si guarda bene, Gustav è un uomo che si è dedicato sempre e solo alla forma e si è privato di tutto per poter arrivare alle vette cui aspirava. Si è reso schiavo della forma, la quale gli ha dato una certa fama ma ha richiesto come prezzo tanti sacrifici.

L’esigenza di viaggiare nasce proprio da un esaurimento creativo. Non riesce più a trovare l’ispirazione per scrivere, gli è diventato noioso e stancante applicare forma ai suoi pensieri. Ha, volgarmente parlando, bisogno di ferie. Decide di fare un viaggio: è estate e punta a qualche località balneare sull’adriatico. Da primo passa sul lato est (Croazia, Capo d’Istria) ma non ci si trova bene. Quindi decide di provare a Venezia, città che lo ha sempre affascinato.

Nell’albergo a Venezia viene folgorato dalla bellezza dell’adolescente Tadzio. Ma all’inizio si tratta di semplice apprezzamento della “Bellezza”: il giovane sembra essere la materializzazione di tutti i sogni e gli ideali di “Bellezza” dell’antica Grecia. Fin qui è quello che può capitare a ciascuno di noi vedendo per strada un bel ragazzo o una bella ragazza.

La cosa però, per Gustav, degenera: probabilmente a causa della solitudine, delle privazioni che si era imposto, dell’ingabbiamento nei suoi crismi di forma, nella convenienza o meno di certi atteggiamenti. Insomma, piano piano l’ammirazione si trasforma in passione, poi in amore pederasta e quindi in follia. Da notare che la pederastia, nell’antica Grecia, era una forma di amore che legava maestro e studente e non è detto che portasse all’atto sessuale. E’ una cosa che non approvo, ma è diversa dalla pedofilia come intendiamo oggi, ed è per questo che preferisco usare quel termine.

Gustav si lascia scivolare, come dice lui stesso, nelle braccia di Eros; si paragona a Socrate che parla di amore con Fedro-Tadzio. E’ uno struggimento, un decadimento. E Mann, scrivendo le riflessioni di Aschenbach, ci ripropone lo stereotipo del poeta maledetto: tanto in alto va la sua elegia poetica tanto in basso deve strisciare la sua anima. Come se il grado di “perversione” che Aschenbach è pronto a raggiungere sia un bilanciamento all’altezza raggiunta dalle sue opere.

E’ questo il punto – secondo me – saliente. Non credo che per raggiungere vette di eccellenza si debba esser pronti a lasciarsi cadere in basso. Però la vita di alcuni poeti sembra dare ragione a Mann: più grande è la sofferenza e più grande è l’amore; più riesce a decantare la bellezza e più tenderà a distruggerla. Eppure Aschenbach (che, lo so, è un personaggio di un romanzo) scrive quello che ritiene il suo componimento più bello proprio quando è maggiormente trascinato dalla passione per Tadzio.

Ad un certo punto, però, qualcosa si rompe e trascina Gustav nel baratro: si vede vecchio e vuol ringiovanire. Ecco allora che si fa applicare il trucco agli occhi, sulle guance… si imbelletta per sembrare più giovane. E non si accorge di esser diventato uguale al vecchio imbellettato che lo aveva tanto disgustato sulla nave da Trieste a Venezia. Si è trasformato: ha ormai oltrepassato un limite da cui non riuscirà a tornare indietro. Arriverà il colera asiatico a trascinarlo via: sulla spiaggia, dopo un ultimo sguardo scambiato con Tadzio, Gustav sarà vinto dalla morte.

Forse esagero, ma credo che anche questo sia un passaggio chiave. E’ come se Mann volesse dire che passioni del genere (non tanto la pederastia in sé, ma tutte le passioni che possiamo definire insane) portano infine alla morte – non è detto alla morte fisica, ma sicuramente alla morte dell’anima. Gustav non scrive più, non sente neppure il bisogno di farlo, da quando ha passato il limite. Tutto quello per cui ha lavorato e si è sacrificato viene dissolto, soffocato dal belletto, instupidito dalla frivolezza. L’arte di Gustav era morta, e lui la segue, come se l’autore, senza ormai più la sua arte, non fosse più niente, non servisse più a niente…

Mi sembra di aver scritto abbastanza, ma mi permetto un ultima nota. Sono stato affascinato dalle descrizioni dei personaggi del romanzo. Mann rappresenta con la penna la gente che Gustav incontra come farebbe Van Gogh col pennello, con uno stile “impressionista”. Per fare un esempio: ogni singola parola con cui Mann tratteggiava la figura di Tadzio quando Gustav lo vede la prima volta diventava, nella mia testa, una pennellata di colore vivo, netto, come ho visto in alcuni ritratti del pittore olandese. Non sono un esperto d’arte, questa è stata solo una sensazione e probabilmente è solo mia (altri forse non la proveranno). Però mi è piaciuta molto.

Infine: non so se consigliarvi la lettura di questo racconto. Credo che per farlo si debba avere un minimo di maturità affettiva ed intellettuale, altrimenti si rischia di travisare il racconto o di trarne insegnamenti contrari al significato che ha voluto dare Mann alla vicenda di Aschenbach. E’ sicuramente un pezzo di letteratura classica che prima o poi va affrontato, ma altrettanto sicuramente non è da regalare, per esempio, ad un ragazzo che si avvicina ai libri.

Buona lettura.

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