Storia di un uomo che eredita una vendetta
Devo iniziare subito con una considerazione positiva: Giorgio è tornato a scrivere una storia senza bisogno di interventi soprannaturali (anche se il titolo farebbe pensare tutto il contrario). Sì, l’uso del soprannaturale nei romanzi e racconti dopo “io uccido” era sempre più massiccio.
Spiriti, eventi al di là del naturale e cose simili non mi piacciono tanto quando sono calati dentro racconti thriller e gialli dove dovrebbero essere solo la logica e la causalità a spingere avanti la trama del romanzo. Ed ho “criticato”, nei miei post precedenti, questa scelta di Giorgio. Ma ho anche affermato che, nonostante questa nota non gradita, lo stile con cui Giorgio racconta le storie mi è sempre piaciuto (e continua a piacermi).
E’ come se Giorgio fosse tornato alle “origini” del suo successo: come in “io uccido”, non si trovano in questo romanzo né storie di spiriti, né scene di sesso (c’è un accenno, all’interno di una storia d’amore, ma senza entrare troppo nell’intimità della coppia – insomma, una cosa più “naturale” delle pagine scritte in precedenti romanzi).
Fatta la considerazione positiva, passiamo a quella “negativa”: la storia è bella ma secondo me manca di qualcosa. Non voglio raccontarvi tutta la trama, ma per spiegarmi sono costretto a rivelare qualcosa.
Siamo a New York ai giorni nostri. Vivien, una giovane detective in forza al tredicesimo distretto del NYPD (New York Police Departement) vive una vita difficile: deve prendersi cura della sorella malata, abbandonata dal marito, e di sua figlia che – dopo aver vissuto una storia di droga (e di prostituzione per pagarsi le dosi) – è ospitata nella comunità “Joy”, dove sta cercando di riconquistare la “gioia” della propria vita anche grazie al carisma di padre McKean.
Finché nel suo lavoro non “esplode” (letteralmente) un problema grosso (altrettanto letteralmente) come un palazzo.
Un pazzo inizia a far esplodere edifici nel cuore della città, senza rivendicazioni né apparente motivo. Già dal primo capitolo Faletti rivela parte della storia: il dinamitardo ha ereditato, insieme alla follia, i palazzi già imbottiti di esplosivo, la mappa della città con la loro disposizione ed il detonatore per farli esplodere.
Per puro caso il “giornalista” (anche se lui stesso, nei momenti di lucidità, non ama definirsi tale) Russel Wade entra in possesso di una pagina del documento-eredità che ha scatenato quella follia. Decide di portarlo alla polizia e – un po’ per caso, un po’ per scelta sua personale – decide di rivolgersi proprio a Vivien.
Quell’unico flebile indizio, insieme al corpo di un biker trovato murato in un palazzo in demolizione, è il filo di Arianna a cui Vivien ed il suo capitano si aggrappano per trovare il folle. Russel segue le indagini: si è fatto promettere l’esclusiva in cambio di quel documento. E proprio Russel aiuta Vivien a scoprire alcuni indizi che le permettono di seguire la traccia: sembra che il suo istinto di giornalista sia sempre vivo, nonostante lui abbia cercato di distruggerlo con la sregolatezza della sua vita.
E’ consueto nei gialli che, nonostante la storia si dipani in una città abitata da milioni di persone, quelli che entrano in gioco nella storia sono pochissimi. Ed è così che entrano in gioco anche la nipote di Vivien e la comunità Joy: uno dei palazzi minati è proprio quello dove risiede la comunità. E, come scoprirà chi leggerà il libro, la chiave del mistero è proprio lì (ma non sperate che ve la riveli).
Ecco, la nota negativa espressa all’inizio riguarda proprio questa chiave. Mi è sembrato (ma forse – appunto – è solo una mia impressione) che siano mancati dei passaggi nella storia, ci siano degli “anelli deboli” nella “catena” degli eventi.
[Attenzione: se pensate di leggere il libro non leggete i prossimi paragrafi]
E’ proprio la storia del colpevole che – secondo me – manca di qualche dettaglio. La storia alle sue spalle è valida: il padre, mai conosciuto, torna carico di odio dal Vietnam e ordisce la sua vendetta contro gli Stati Uniti senza mai metterla in pratica: mina con tritolo e napalm una serie di edifici che lui stesso contribuisce a costruire. L’esplosivo nascosto nei palazzi ed ancora attivo dopo oltre 20 anni è abbastanza incredibile, ma ancora realistico; insomma, posso accettarlo come valido.
Ma manca, secondo me, tutto il processo di trasformazione del “cattivo”. Si tratta di un uomo con una doppia personalità. Si scopre alla fine che ha provato a fare il comico-ventriloquo e che il personaggio-cattivo non è altro che l’evoluzione del personaggio-burattino. Ma non si capisce come sia diventato quello che è, soprattutto nella sua parte buona.
Insomma, al di là del colpo di scena (un po’ atteso e – purtroppo – un po’ intuibile) si rimane un po’ spiazzati per il finale. Io mi son ritrovato a dire: “come? Finito così?”. E questo succede anche perché nei capitoli precedenti si era creata la giusta tensione (se devo essere sincero leggermente inferiore rispetto a “io uccido”, ma sempre di qualità). Per capirsi: come prendere chili di dinamite, accenderla ed accorgersi, al momento dell’esplosione, che è umida e riesce a fare solo un soffocato “puff”.
Rimane, comunque, la mia passione per lo stile di scrittura di Faletti e per la sua capacità di creare storie avvincenti. Non so spiegare come mai, ma riesce a coinvolgermi emotivamente: ed ancora di più se immagino che sia Faletti, con la sua voce particolare, a leggere il libro.
Che dire: forse Giorgio si è fatto un po’ trascinare dall’onda del successo ed ha perso un po’ degli stimoli che lo hanno aiutato a creare “io uccido”. Ma continua a piacermi e credo che abbia tutte le potenzialità per scrivere, ancora, thriller come il primo.
Consiglio sicuramente la lettura a tutti coloro appassionati di polizieschi, di thriller, di noir… et simila. Io sono contento di aver acquistato il libro, anche se – come avrete capito – mi aspettavo qualcosina di più. Magari attendete la versione economica che, oltre a farvi risparmiare qualcuno dei 20 euro del costo di copertina, ingombra meno se portato in spiaggia.
Comunque sia, buona lettura.
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