“Solo, il povero negretto / in un bosco se ne andò: / ad un pino si impiccò, / e nesuno ne restò.” (dal II capitolo)
Specifichiamo subito che i “piccoli indiani” del titolo sono i “piccoli negretti” della filastrocca che accompagnia il romanzo (ho riportato sopra l’ultima strofa). Nell’introduzione è scritto infatti che fu scelto, dopo alcune discussioni, di usare il termine “indiani” al posto di “niggers”, che in alcuni contesti è usato in modo dispregiativo.
Fatta la dovuta precisazione devo confessare che è la prima volta che leggo un romazo di Agatha Christie. Da tempo avevo in mente di leggere qualche sua opera, ma avevo sempre rimandato. Bè, credo che – da ora in poi – non mi lascerò sfuggire le future occasioni: il romanzo mi ha talmente avvinto che l’ho dovuto finire nell’arco di 24 ore. Fortunatamente avevo un po’ di tempo libero…
Se vi aspettate la trama completa, vi avverto subito, non la troverete in questo post. Qui posso solo anticiparvi che è un giallo maestrale, degno della fama della scrittrice. 10 persone, tutte invitate su un’isola da una persona “sconosciuta” (ma che si fa passare per una persona a loro nota)rimangono isolate dal resto del mondo e piano piano, una alla volta, vengono assassinate secondo i modi suggeriti dai versi della filastrocca dei dieci negretti.
Ognuna di queste persone era accusata di uno specifico delitto: il loro esecutore si è arrogato il diritto di giudicarli (colpevoli) e li ha attirati in quella trappola per ucciderli tutti. Ma saranno veramente tutti colpevoli? E chi è l’astuto assassino che non si riesce a trovare? Anche la polizia, quando è informata dell’accaduto (ormai troppo tardi) riesce a malapena a ricostruire quello che è avvenuto: alcuni personaggi hanno tenuto una specie di diario durante il soggiorno e la polizia riesce a capire, in linea di massima, quello che è successo, ma non riesce a capire chi possa aver architettato tutto. E’ veramente un piano così perfetto da lasciare impunito l’autore? O forse anche l’autore faceva parte del gioco? La polizia riuscirà a scoprire tutto solo grazie alal confessione dell’assassino, pervenuta loro in modo molto particolare – potremo dire quasi per pura fortuna…
Spendiamo una parola anche sulle vittime. Le accomuna il fatto di essere ritenuti colpevoli di un assassinio compiuto in passato. Nel silenzio del dopo pasto un disco, fatto preparare appositamente dall’assassino e fatto suonare, ignaramente, da una delle vittime, annuncia le colpe ed ilv erdetto di ogni ospite. E qui inizia il crudele gioco il cui remio finale è la sopravvivenza. Ma perché non trascinare davanti ad un vero tribunale le vittime? Perché i loro reati sarebbero difficilmente dimostrabili. Qualcuno ha anche subito una inchiesta, ma aveva architettato talmente bene le cose che il fatto è stato considerato un incidente e la vittima, a quel tempo, è stata considerata un’eroina. Alcune delle vittime, comunque, durante i giorni di isolamento arriveràa confessare le proprie colpe… qualcuno continuerà a negarle fino alla fine…
E’ forse ossessionato da una sua particolare idea di giustizia, il nostro assassino? Non crede in quella amministrata dai tribunali? Forse sì, se si considera il fatto che c’è anche un giudice fra gli assassinati…
O forse sto cercando di sviare la vostra attenzione per non aiutarvi nella soluzione? Confesso che, pur avendo capito alcuni meccanismi messi in moto dall’assassino, solo alla fine ho capito chi egli fosse. Mi ero fatto una idea, ma ad un certo punto l’ho considerata impossibile perché ho dato per scontato alcune cose… Ed invece la sorpresa è proprio quì: mai dare per scontato niente.
Vabbè, non vi aggiungo più nulla. Se siete appassionati di gialli è inutile che vi consigli di leggere questo romanzo: probabilmente lo avete già nella vostra biblioteca. Ma chi si avvicina a questo mondo fa bene a trovare una copia di questo romanzo perché – secondo me – è un capolavoro.
Buona lettura…
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