Ultimi flash dalla tribù Malaussène.
Avevo letto qualche commento poco generoso verso questo libro, ma ho voluto provare a leggerlo lo stesso. E devo ammettere che lo sento un po’ come un corpo estraneo rispetto al ciclo di Malaussène. Non un qualcosa completamente diverso, ma piuttosto qualcosa di intimo, di particolare, di personale.
Il libro si compone semplicemente di due racconti. Il primo è un monologo di Benjamin sulla paternità; il secondo riguarda il piccolo e la sua voglia di conoscere il padre. Ma c’è qualcosa di più, sotto questi racconti.
Il primo “Signor Malaussène a teatro” assomiglia tanto al monologo del dottor Galvan nell’omonimo libro (e omonima opera teatrale). Sembra, appunto, un’opera pensata per il teatro.
E’ Benjamin Malaussène che parla della vita e dei suoi dubbi. Parla a suo figlio e a tutti noi. Parla cercando di convincere più sé stesso che suo figlio, che noi, che questa pazza vita, piena di brutte sorprese, è comunque degna di essere provata.
Ripercorre, il nostro “capro espiatorio” per eccellenza, in questo monologo, la vicenda della nascita di Signo Malaussène, dal suo concepimento alla nascita fino all’inevitabile battesimo (a livello di nome) del fratellastro Jerémy. Particolare la scena della scelta del nome, prima della nascita, in cui (come racconta Benjamin) lui e Julie facevano ipotesi che sapevano che sarebbero state spiazzate all’atto della nascita. E quando Julie propone “Daniel”, Benjamin sbianca a causa di una di quelle sue sensazioni che gli fanno temere il peggio. Come se Benjamin avesse paura del suo creatore…
Il secondo racconto – scritto veramente in forma di racconto – parla, invece, del Piccolo e della sua ossessione (fortunatamente momentanea) di sapere chi è il padre. Ricordiamo che la madre di Benjamin e di tutti i fratellastri e sorellastre passa da un amore all’altro con la stessa facilità con cui noi facciamo zapping in TV.
Nonostante ognuno dei fratellastri e sorellastre di Benjamin sappia (più o meno – almeno da quanto si intuisce nel racconto) chi è il padre, il padre del Piccolo è l’unico di cui non si sa niente, nonostante sia stato ospitato e curato dalla tribù per qualche settimana.
Non sto a raccontare la trama: lo strano personaggio viene incontrato in circostanze molto particolari e rimane sempre in coma, più o meno vigile, per tutto il racconto. Intorno a lui si dipana la vicenda fitta di misteri: chi è? Cosa significano le frasi che ogni tanto ripete nel sonno del coma? E come mai in così tante lingue? E cosa significa il biglietot da visita trovato quando il personaggio se ne va, dove l’unica frase è “Remember Isaac”? E’ forse lui Isaac?
La soluzione la trova Louna, collega di Benjamin alle Edizioni del Taglione e suo amico a cui lui confida la storia del misterioso personaggio padre del Piccolo.
O meglio: quella che sembra essere una soluzione, perché riesce a spiegare tutti i misteri, ma invece di risolverli ne aumenta lo spessore. Sì, perché la soluzione trovata da Louna riguarda un libro ed il suo protagonista. Il padre del Piccolo sarebbe un personaggio da romanzo, un essere vivente solo nella fantasia dell’autore di quel racconto, un padre di carta. Insomma: un personaggio di fantasia (Benjamin) si scontra nella sua realtà con un personaggio della fantasia di un autore della nostra realtà (il libro indicato da Louna esiste realmente). Detto in parole povere: un grande casino…
Al di là del parlare della stessa famiglia, l’unico altro punto comune in questi due racconti è il rapporto fra autore e personaggio. Nel primo racconto, infatti, Daniel, il nome dell’autore (creatore) fa tremare di paura il protagonista (la creatura) quando lo “prova” sulla propria creatura (il figlio). Nel secondo racconto un personaggio è sfuggito dal proprio autore e fa irruzione nella vita di una famiglia di fantasia. Insomma: un complesso intreccio fra fantasia reale, realtà fantastica e autori nell’una e nell’altra dimensione.
D’altronde, quante volte noi vorremmo incontrare nella realtà un personaggio letto nei libri? A Benjamin è successo proprio così!
Leggere o non leggere questo libro? Io consiglio di sì. Però non va preso come come un racconto come gli altri della famiglia Malaussène. E’ una doppia confessione intima di Pennac per voce di Benjamin. E’ il saluto ad un personaggio con cui si è vissuto per anni e che è giunta ora di mettere in un cassetto.
Allora mi associo anche io: ciao famiglia Malaussène, tribù che mi ha tenuto compagnia in questi mesi e che mi ha fatto nascere il desiderio di visitare Parigi ed in particolare Belleville. Forse tornerò a bussare alle vostre pagine fra qualche anno, quando – preso da malinconia – vorrò rilegger ele vostre esperienze.
Anzi: ora che ci ripenso… sto aspettando il libro che narra la nascita di Signor Malaussen, quindi ci saluteremo al “battesimo” del frugoletto.
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[…] il buon Pennac, con il suo ciclo Malaussene, mi ha influenzato. In una delle due storie di “Ultime notizie dalla famiglia” Benjamin Malaussene crede che “il Piccolo” sia afetto da […]