La cena dei potenti (Francesco Antonioli)
Mi ha incuriosito la presentazione di questo libro comparsa su un settimanale cattolico toscano (Toscana Oggi). Se ricordo bene riportarono l’incipit del libro (“Dio abitava a Parigi…”). E non solo: il sottotitolo “Quando Jahvè, Dio e Allah si incontrarono” mi stuzzicava ancora di più…
Il tema non è nuovo. Amando la musica ho ben presente “E se dio fosse uno di noi…”, cantata da Finardi (cover di “If God was one of us” di Joan Osburne). Però, fra ciò che conosco, è la prima volta che tre Divinità (delle tre religioni monoteiste) si “nascondono” in abiti umani e vivono fra gli uomini…
1945. Dopo la tragedia della seconda guerra mondiale, ognuno dei tre Dio si sente un po’ smarrito. COme è stato possibile che sia successo un disastro umano di tali dimensioni? Eppure ognuno di loro ha semrpe avuto, come regola fondamentale, l’Amore. Ognuno, indipendentemente, decide di scendere in terra, prendere forma umana (rinunciando – almeno temporaneamente – ai propri “poteri”). Lo scopo che si prefiggono è quello di capire meglio l’uomo, di comprendere le sue passioni, i suoi dolori. Ma è veramente così o vogliono solo nascondersi dagli orrori dell’umanità?
Il Dio dei cristiani si è stabilito in Francia. Fa il professore di materie letterarie in un liceo di Parigi. All’anagrafe risulta come Françoise Beckett, nato nel 1945: il nome del poverello d’Assisi ed il cognome dell’autore di “Aspettando Godot”. Javhè vive a New York. Anche lui nato nel 1945, gestisce una galleria d’arte e cerca di dare spazio ai giovani artisti. Il nome che ha scelto è composto da quello del “servo” fedele ed umile (Abraham) e quello del maggior interprete del Talmud (Rashi). Muhammad el-Averroè è il nome scelto da Allah: il suo “servo” più importante, seguito dal cognome del più grande studioso di Aristotele. Classe 1945, vive ad Istanbul e fa l’intermediario finaziario; il più corretto e giusto, a sentire i suoi clienti.
Ognuno sa dell’altro: sa che hanno fatto la stessa scelta, ma nessuno ha cercato gli altri. Allora chi ha inviato a Françoise, ad Abraham, a Muhammad quel biglietto che li invita a Chartres? Si troveranno lì insieme, a condividere lo stesso appartamento (una foresteria) seguendo le tracce di una strana caccia al tesoro, dove il premio non è uno scrigno di oro ma la risposta a tante domande.
Chi è lo strano personaggio, di nome Vladimir Estragon (ancora “Aspettando Godot”), che ha chiamato a raccolta i tre Dio? E perché li incontra in uno strano deposito, il D.501 (sigla che usa come firma), luogo in cui un frammento dell’atroce storia della seconda guerra mondiale si trasforma in un raggio di luce?
Tutto il racconto è pervaso da simboli, ed è forse un simbolo il racconto stesso, simbolo della voglia di pace, dell’unione. Più volte si parla di pace, anche se lo spunto sono episodi drammatici. Una caccia al tesoro in cui le personalità dei tre Dio si scoprono più vicine di quante si aspettassero.
Non mi sento di consigliare, su due piedi, l’acquisto (circa 10 euro). Consiglio, però, la lettura. Io, quasi sicuramente, lo rileggerò fra qualche settimana per assaporarne meglio alcuni passaggi. Consiglio, comunque, di tenerlo presente perché è molto particolare. Non tanto per lo stile di scrittura (comunque molto gradito da me) am per la particolarità della storia. Mi dispiace un po’ per il finale, che sembra prodotto con qualche fatica e si meritava, forse, maggior respiro. Il rischio, forse, era quello di cadere troppo nella teologia: capisco l’autore se ha voluto non addentrarsi in questo campo.
Comunque, se vi interessa, sono circa 120 pagine e si leggono bene.
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